Storia eccezionale ma normale del vino italiano. Un contadino con la quinta elementare che nel 1964 si mette in testa di produrre un grande vino nel territorio di Teramo, dove fino ad allora funzionavano solo i vini da taglio e tutti erano convinti che il Montepulciano era da bere giovane e non da invecchiare. Oltretutto, la sfrontatezza di produrre vino senza competenze specifiche, cosa che per anni costerà all’azienda di Emidio Pepe lo stigma di scarsa accuratezza enologica.
Oggi stiamo parlando di una star del vino italiano nel mondo, una specie di rivincita per il vecchio Emidio, che ormai ha 92 anni e che nel bellissimo crepuscolo della sua esperienza terrena sta vivendo sensazioni inaspettate come quello di stare nelle carte delle enoteche e dei ristoranti di tutto il mondo al pari di aziende che solo pochi lustri fa erano molto più blasonate della sua. Tutto merito di una campagna di comunicazione intelligente e pervasiva, grazie al contributo di una figura discussa ma geniale come Sandro Sangiorgi, che nell’arco di un decennio ha portato questi vini ai vertici mondiali.
Sono da sempre un sostenitore di Emidio Pepe. Anche di fronte alle perplessità di alcuni tra colleghi e amici, non mi sono mai capitati nella mia lunga frequentazione con questa etichetta vini chiaramente difettati (un po’ di tolleranza per la volatile, a volte percepibile, aiuta di sicuro). Spesso ho invece trovato nel Trebbiano, nel Cerasuolo e nel Montepulciano le migliori espressioni dell’autentica anima del vino abruzzese.
Per questo, oggi che per vicissitudini personali non sono più un assiduo frequentatore della superstrada che da Ascoli porta a San Benedetto del Tronto (a circa metà del tragitto c’è l’uscita per Torano Nuovo, a un passo dal mare e dall’Appennino, quasi sul confine che separa Abruzzo e Marche), non mi sono lasciato scappare la doppia verticale organizzata da Velier presso la storica trattoria “Mimì alla Ferrovia” di Napoli alla presenza della nipote più piccola di Emidio, Elisa, che nell’occasione si è cimentata perfino nell’impiattamento dei sontuosi ziti allardiati proposti da Mimì.
I sessant’anni dell’azienda, doverosamente celebrati in varie iniziative sparse in tutta Italia, hanno sancito per l’ennesima volta l’ascesa dei vini di Emidio Pepe nel ristretto gruppo delle star nazionali. Del resto, quando finisci (con un Montepulciano 2010) su una storia Instagram della leggenda NBA LeBron James, multimiliardario e grande appassionato di vini, in cima ci sei arrivato, no?
Un po’ di dati per riassumere lo stato attuale delle cose. Gli ettari totali sono 34, coltivati a vite (17), ulivo, grano, ceci. Nessuno in famiglia ha mai studiato enologia, notizia che farà un po’ storcere il naso ai puristi della perfezione ma vabbè. La sorella di Elisa, Chiara, è l’enologa e la titolare della vinificazione aziendale dal 2020.
La coltivazione è tutta a tendone, tranne il Pecorino, introdotto a partire dal 2006 e allevato a filare. Il protocollo di vinificazione non è mai cambiato dal 1964: zero chimica e fermentazioni spontanee, molto prima che venissero alla moda le parole “biodinamico” e “naturale”. Bianchi pigiati coi piedi, senza bucce e senza raspi; il rosso diraspato a mano, a chicco intero, evitando il più possibile la sovraestrazione che con un’uva come il Montepulciano può avere effetti disastrosi: quasi un’infusione, con una macerazione che non supera mai i 9 giorni. Due anni in vasche di cemento da 22/30 ettolitri, dal 1985 ricoperte di vetroresina. Ogni anno vengono prodotti circa 80mila pezzi, anche se ultimamente le condizioni climatiche rendono i numeri più altalenanti: nel 2019, per esempio, il Montepulciano non è stato fatto.
Come sanno bene gli amanti di questa cantina, la famiglia Pepe crede molto nell’invecchiamento tanto da vantare uno storico di oltre 350mila bottiglie stoccate e rilasciate gradualmente, con un arco di oltre 40 annate. Alla maniera di un Biondi Santi, le bottiglie di Montepulciano che superano i vent’anni vengono decantate e ricolmate.
TREBBIANO D’ABRUZZO
N.B.: Nel vigneto aziendale sono ancora presenti, e concorrono alla vinificazione, vecchie pergole degli anni Cinquanta del Novecento. Le note di degustazione sono precedute dalla secca “recensione” dell’annata da parte di Elisa. Francamente ingiudicabile il Trebbiano 2022, che non ha fatto parte della verticale ma è stato proposto solo durante il successivo pranzo.
2019
“Bella annata, fresca e piovosa, un po’ di grandine, il Montepulciano non verrà prodotto”.
Fieno, ostrica, spezie, cedro, cioccolato bianco. Bocca pastosa, materica, bel frutto giallo (mela matura) in progressione, buona scorta di acidità. Finale floreale e di mandorla. Ancora poco espressivo ma crescerà molto.
2009
“Annata fresca e piovosa”
Roccia di fiume, lievemente affumicato, balsamico, floreale. Sorso sottile e succoso, meno espansivo del precedente sulle prime, poi in crescita. Bel finale di frutta secca.
2004
“Annata equilibrata, fresca ma solare”.
Leggermente intorpidito all’inizio, cassetto della nonna, fiori secchi. Dopo un po’ si apre con note di miele, pasticceria ed erbe aromatiche essiccate. Straordinaria freschezza in bocca. Sapido e minerale. Lunga chiusura su toni di tè verde. Ha ancora polpa, potenza e bella integrità.
BONUS TRACK
Pecorino 2022
Naso sottile, agrumi e frutta secca. Bocca potente, lieve esubero alcolico, buona espansione, equilibrato. Bel finale salato e goloso.
MONTEPULCIANO D’ABRUZZO
2015
“Annata iconica”.
La famiglia crede molto nell’annata, tanto che più dell’80% della produzione è stato stoccato in cantina per l’invecchiamento. Ciliegie, prugne, spezie (chiodi di garofano), paprika. Sorso molto ricco, tannino ancora graffiante, buona scorrevolezza. Polposo e pimpante anche nel finale, di inaspettata freschezza. Viscerale, per ora quasi indomabile. L’età delle vigne ormai supera i trent’anni.
2007
“Annata bellissima, equilibrata”.
Naso poco espressivo, lieve speziatura, pepe, liquirizia. Sorso ampio e scorrevole, di ottima acidità. Una bontà un po’ crepuscolare. P.S.: un altro flacone della stessa annata, bevuto un paio di mesi dopo, ha dato un responso abbastanza diverso risultando più fragrante ai profumi e più pieno e corposo al palato, di grande equilibrio, mantenendo succo e bevibilità. Succede. Vino ancora in evoluzione.
2003
“Annata calda, difficilissima”.
Minerale, molto fruttato (fragola, amarena), caramella (cassis), incenso, resina, viola, alloro. Irresistibile al palato, tannini eleganti e grande bevibilità, forse la vera sorpresa della verticale. L’annata lo rende (dio mi perdoni) quasi ruffiano. Chiusura fresca e dolce, pepata e di ottima persistenza.
2000
Simile alla 2007 ma più ricco e fruttato. Olfatto variegato, salmastro (acciughe, olive), con spezie (cannella) ed erbe aromatiche. Grande complessità al palato, morbido, elegante e al tempo stesso ancora potente. Finale maestoso e avvolgente, molto lungo.
1983
Come per il primo della lista, il 2015, in questa annata Emidio decise di conservarne la gran parte per l’invecchiamento. Mai scelta fu più lungimirante. Naso di incredibile integrità, quasi da vino liquoroso (Porto), con frutti rossi in gelatina, cuoio, cenere, delicati cenni di spezie orientali, menta. Bocca di straordinaria eleganza. Palato delicato, sinuoso, finale di grande persistenza, con fiori essiccati, sigaro, buccia di agrumi, cioccolato al latte. Avevo bevuto una bottiglia di questa annata una decina di anni fa ed è per certi versi inspiegabile trovarsi di fronte a un esemplare che ha ancora quello stesso profilo, come se si fosse cristallizzato in un eterno presente. Longevo come pochi, eterno davvero.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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