C’era una volta….
E sì, è il classico incipit di tante storie. Ormai non scrivo quasi più, un po’ mi dispiace ma a forza di leggere tante banalità e oscenità mi è passata la voglia. Ma il c’era una volta è spesso l’inizio di tanti miei racconti verbali del mio personale mondo del vino, dal bicchiere alla vigna e viceversa.
Oggi ho voglia di scrivere però. Sono reduce da una di quelle serate che mi riconciliano con la scrittura. Merito di due personaggi fantastici. Uno possente produttore di vino “vero”, un incrocio strano: da Riccardo Cuor di Leone a Re Artù sembra facile ma metteteci tanto di Peter Pan e vi rendete conto che il risultato può avere un nome solo, Antonio Cascarano il Camerlengo (nella foto di copertina).
L’altro personaggio Ginetta (for friends) è leggiadro ma pacato, con la saggezza del grillo parlante senza essere rompiscatole, lieve, aerea e delicata come Trilli.
Una coppia inconcepibilmente vera. Ritrovarsi con loro e con la cerchia di amici e colleghi nella notte del Solstizio d’inverno è ormai una bella tradizione legata ad un evento assolutamente unico, la degustazione “diagonale” del Camerlengo, Aglianico del Vulture fatto come natura vuole, come natura crea, quest’anno annata 2009.
Degustazione diagonale? Che vorrà mai dire? Era il 2018 e tra il serio e il faceto si parlava di vino e formazione nella cantina/grotta di Antonio che espresse un desiderio custodito da tempo: una degustazione della stessa annata (,con almeno una decina di anni sulle spalle) confrontando bottiglie di formato diverso, la classica 0,75, la magnum, la jéroboam e la mathusalem.
Disposte in fila e fotografate emerse uno Skyline da bisettrice di un diagramma cartesiano: troppo facile concludere che si trattava di una “diagonale”. Quest’anno dopo il buco covid ci siamo ritrovati con lo stesso spirito goliardico, tanti re magi con doni mangerecci e goderecci.
Esposte le leccornie però bando alle ciance e con approccio tecnico ed edonistico Sua Trinità RiccardoArtúPeter ci ha disposti intorno alla tavola rotonda, bellissima, un cristallo su una radice di castagno o forse noce quasi sotto la volta della grotta.
Noi cavalieri del Camerlengo muniti delle nostre armi, quattro calici e tanta voglia di assaggiare, parlare, confrontarci. A me il piacevole onore di stappare e servire senza rituali formali ma con molto senso pratico: passatemi i bicchieri e ve li riempio!
E comincia la tenzone ognuno con il proprio parere tecnico o di soggettiva piacevolezza.
Il grande Mediatore Sua Trinità, a giusta ragione, tratta i propri figli con pari dignità ed ha assolutamente ragione. In fin dei conti è lo stesso vino e della stessa annata, dalla stessa vinificazione e dalla stessa botte. Cambia solo la dimensione del contenitore e i tappi che non saranno mai assolutamente identici per permeabilità all’aria. Minimizzo quest’ultimo aspetto e vi dico la mia.
Devi tenere conto naturalmente anche di un utile contributo di Andrea De Palma per cui la mia valutazione si sdoppia. Una disamina dedicata al consumo immediato rispetto ad una visione evolutiva.
Per il consumo immediato jéroboam e mathusalem over the top. Degni di scenari internazionali del più alto livello. 6 litri di finezza ed eleganza, con frutto vivido ed austero, spezie dolci e pot pourri. Acidità tonica e bel tannino vibrante ma non graffiante. Lunghezza aromatica e chiusura su toni delicatissimi e lunghi. Tre litri appena più mordaci, con segni minerali basaltici evidenti, frutto nero mallo di noce e cenni di mirto. Acidità sempre dinamica e tannino un filino più evidente, chiusura amaricante coerente con il retrogusto più “vulcanico”. Una bella lotta per designare la migliore tra i formati extra large, per me diversi certo, ma mi farebbero felice entrambe, magari una a Natale e l’altra a Capodanno. .
La magnum? Un terzo dei cavalieri l’ha preferita, ritenendola più equilibrata. Il mio pensiero è un altro.
È una bottiglia che interpreta l’aglianico nella sua accezione di consumo più diffusa, oserei dire troppo giovane (…2009). Compatto e potente, nero nel colore, nel frutto e nella spezia, tannini composti quanto basta per iniziare a verso, e consistente potenza acida con un finale irruente e ricco di liquirizia e toni fumé. Buono? Sì molto buono ora ma tra 5/10/15/20… anni penso darà molta più soddisfazione.
La classica 0,75: tre bottiglie, tre tappi a diversa e casuale porosità,
tre vini completamente diversi.
La bottiglia con la risposta organolettica più adeguata si è mostrata inizialmente contratta quasi ostile a mostrarsi. Ma il tempo nel bicchiere e la temperatura che gradualmente saliva ha disinibito la sua ritrosia e timidezza. Dopo diversi approcci e una buona oretta finalmente ha dato il meglio di sé.
Un bel frutto nero tonico arricchito di evidenti caratteri grafitici e terrosi, un tannino inizialmente degno di un istrice che invece si è acquietato dando una efficace e piacevole bevibilitá inizialmente insospettabile. Ho ripetuto più volte gli assaggi dei quattro calici che ogni ogni volta naturalmente mostravano una evidente amplificazione della complessità aromatica ma solo il formato più piccolo ha subito variazioni tattili più accentuate.
Morale dei fatti: alla tavola del Re il vino da Re.
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