Presentato a Milano il “re” di casa Krug
con colonna sonora dedicata firmata Sakamoto
Quando, a un certo punto, appare sullo schermo la figura di Ryūichi Sakamoto, inquadrato di spalle, le bottiglie poggiate sul piano e il sottotitolo che, più che tradurre – non ce ne sarebbe di fatto bisogno – iconizza quel che sta dicendo, e cioè: “Sono un compositore e un appassionato consumatore di Krug”, non si può che solidarizzare. E, ovviamente, invidiarlo. Due volte. Per la sua arte (gli Oscar e Golden Globe, la fama, i grandi concerti) e perché è facile capire che la sua dotazione di Clos du Mesnil 2008, e le sue occasioni di berlo, saranno ben al di là di quelle che noi comuni mortali potremo regalarci. Ma intanto, promossi per il momento “au pair” rispetto al maestro, eccoci qua – in Segheria, a Milano, cornice post industrial perfetta per l’occasione – coi calici davanti, ad ascoltare la suite ispirata e abbinata ai tre “2008 based” che Olivier Krug, con il suo stile inimitabile, ha appena introdotto. Cominciando ovviamente col nuovo nato, il debuttante d’oro, il Clos 2008, appunto.
E allora: pera e balsamo, zenzero e polpa bianca fresca, susina chiara e refoli di piccoli frutti; e lungo, cristallino, piccante, incidente in diagonale (non orizzontale, non verticale) secondo i parametri del teorema più famoso di tutti, quello che stabilisce che il quadrato costruito sull’ipotenusa (la diagonale appunto) pareggia e ingloba in un sol boccone la somma di quelli che incidono sulle due linee ortogonali. Le più semplici. Le più normali. Qui, invece, non c’è scorciatoia. Complessità estrema nella limpidezza. E sale, e agrume. A ricordare che 14 anni dopo la “sua” vendemmia questo è un vino al primo, pur già straordinario, vagito.
A far péndant e compagnia (giornalisticamente si direbbe: per completezza d’informazione) al Clos ecco il 2008 annata – il Vintage Collection – e la Grande Cuvée (ormai dopo il varo del sistema del Krug ìD, il sistema digitale di “identificazione” di ogni prodotto, tutti gli appassionati sanno come arrivarci) basata a sua volta sul millesimo protagonista, architrave del complesso mosaico di cui la bottiglia è sintesi, e targata col numero di serie 164.
E se il primo – 53% Pinot Noir, 22% Chardonnay, 25% Pinot Meunier, sboccato dopo i primi mesi del 2020 – impressiona per impatto, volume, cambio (infine ovvio) di registro rispetto al “tutto Chardonnay” targato Mesnil, “road warrior” da deserto del Mojave rispetto alla carrozzeria leggiadra e filante – alla Pininfarina – del Clos, la Cuvée, semplicemente squisita, ribadisce il nucleo profondo del lavoro che si va facendo da un tot in casa Krug, quello che Olivier non si stanza di ricordare nelle sue produzioni come “il sogno del Fondatore Joseph”, ottenere cioè ogni anno dall’esistente in vigna e in casa il meglio in assoluto che si possa fare in regione, e che ora è affidato alle mani abilissime, giovani e rodate insieme, di Julie Cavil, la chef de cave in carica, e alla squadra super che la affianca.
A sostenere e collaudare il coté gastronomico dei tre vini, subito dopo il tasting (con la già citata colonna sonora, elegantemente intrecciata, pensata e composta ad hoc da Sakamoto), hanno provveduto a dovere i piatti, classici nella sostanza, ma identitari, di Paolo Lavezzini, lo chef del Four Seasons fiorentino, con esperienza precedente nel ristorante gourmet di quello di San Paolo del Brasile.