L’ultima cosa che hanno inventato e messo a sistema è quella che chiamano ammiccando “la spa dell’uva”. Funziona, qui a Ca’ del Bosco, ormai da un arco di tempo sufficiente a sentirsi più che certi e soddisfatti dei risultati. È un complesso sistema di nastri scorrevoli, docce, saliscendi (poco meno di 30 milioni d’investimento complessivo) costruiti come dolci montagne russe su cui l’uva, in precedenza raccolta e preselezionata a mano lungo un percorso di triage affidato agli addetti fidati, ruotando sull’asse senza sbattimenti e rotture precoci mostra ogni fianco al delicato “phon” che la asciuga prima che arrivi dove deve: alla pressa, e alla fermentazione.
Qui, in questa cantina, passano 23.000 quintali d’uva in media a vendemmia, 2000 al giorno più o meno, interamente smaltiti nelle 24 ore. E se qualche cosa, per sovraccarico di giornata o piccole lungaggini nei ritmi di lavoro, avanza, va in cella, a 16 gradi, per non essere alterata da azioni batteriche improvvide e non bruciare aromi. E alle 6 del mattino inizia il rapido tour (scelta, doccia, phon, etc.) che anticipa e precede quello delle nuove cassette di giornata. Tutte da 15 chili, tutte riempite a mano, fa 160.000 cassette a vendemmia – lira più, lira meno – di cui l’ultimo atto della catena post “spa” delle uve provvede a sanificare, raggruppare, rimettere a disposizione dei vendemmiatori la quota necessaria per la giornata successiva.
L’obiettivo di tutto ciò? Uve pulite (alla lettera) per vini più puliti, e meno bisognosi, ad esempio, di copertura con solforosa, drasticamente ridotta. Tutto è gestito da robot, fondendo – per usare la terminologia utilizzata qui – la solida pratica contadina (la raccolta e scelta totalmente manuale, “a vista”) alla tecnologia più raffinata disponibile. Il processo impiega acqua, citrico per togliere via la poltiglia lavata fatta di polveri, residui di piogge acide (e comunque di quel che passa nell’aria non sempre specchiata del nostro pianeta), di metalli o altro usati per trattamenti (già “dolci” l’azienda, in conversione e a un passo dalla certificazione, è da tempo in regime “bio”), e aria a turbina per togliere gli ultimi residui concreti e liquidi.
Di questo processo sono figli i vini che l’azienda guidata da Maurizio Zanella e gestita sul fronte enologico da Stefano Capello sta sfornando via via. E questo processo è, secondo loro, un’altra rotella dell’ingranaggio dell’evoluzione continua che ha portato la Franciacorta, di cui loro si sentono (anche se non lo dicono) dai primordi, e specie allora, “fer de lance”, a crescere dalle 26 aziende e meno di un milione di bottiglie del primo Consorzio, 1990, alle 118, con 2284 ettari vitati e 17 milioni di bocce, dello status quo odierno.
Fa parte del processo evolutivo, ed è frutto del combinato disposto di gusto, mercato, saperi agronomici e enologici, nuove vigne, clima in trasformazione (e del governo, della gestione di questo mix da parte di chi lavora qui sul e “nel” vino, per quanto almeno è in suo potere) anche la scelta di non dosare più la rampolla bandiera della famiglia: quella Anna Maria Clementi Zanella che è sintesi parlante (dedicata alla madre del fondatore) di affetto e ambizioni, la miscela che è il carburante profondo di Ca’ del Bosco. L’annata in uscita e al debutto, il 2009, è la seconda non dosata.
Viene a proscenio con alle spalle un termine di paragone non proprio agevole: il 2008, grande annata senza alcun dubbio. Ma regge, con il suo profilo diverso, serenamente il confronto. E a modo suo, seduce e conquista. Nella stessa occasione (e con la scenografica apparizione di sostegno di due decorativi, argentei lupi ceki condotti al guinzaglio dal loro addestratore) Zanella e Capelli hanno presentato anche la nuova linea di vini fermi dedicata alla “memoria” della valle di Erbusco, nota nella vecchia toponomastica locale come “del Luf”, del lupo appunto. Corte del Lupo è la label scelta per il bianco e il rosso che ne fanno parte. E di cui vi parleremo prossimamente in uno spazio (e in un confronto sui vini fermi di zona) pensato ad hoc. Di seguito, invece, la scheda della nuova Anna Maria.
ANNA MARIA CLEMENTI ZANELLA 2009
Oltre metà (55%) Chardonnay, 25% Pinot Bianco, 20% Pinot Nero, uve da 18 vigne di età media sopra i 30 anni, solforosa sotto 53 milligrammi (!), zero liqeur aggiunta, nove anni sui lieviti, fa parte – a memoria – della linea medioleggera della dinastia, ma senza pecche di complessità; approccio in finezza già al naso, ribadito da primo aereo impatto – ma poi insistito ritorno in profondità – al palato. Grazia, viene da dire, pienezza senza eccessi ma vellutata, con progresso dalle note floreali e agrumate a più consistenti, di erbe officinali, frutta secca e salate. Il ritorno di frutta esotica che chiude il ciclo ha dentro avvolgenza e acidità più che bastanti per combinarsi in un lungo saporoso “a risentirci” (col prossimo sorso) alle papille.
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