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Blanc de Blancs 2013 Bruno Paillard – Lo Champagne venuto dal freddo

Controcorrente. Una scelta che è quasi d’obbligo definire così. Ma perfettamente in linea con la prova dei risultati. Perché “quando li abbiamo assaggiati, per noi gli Chardonnay brillavano, in degustazione. Ed era ovvio. La freschezza dell’annata, la sua lenta maturazione, hanno creato equilibri rari”. Alice Paillard, figlia e partner totale di Bruno, il solidissimo fondatore aziendale, mette giù quasi un saggio di storia recente della climatologia, nella regione e non solo, quando racconta questo 2013 che non tutti, no, hanno messo in catalogo in Champagne.

Un millesimo che, sottolinea Alice, sembra oggi “di un altro tempo. Eppure sono passati appena 10 anni. Un vero autunno, con un buono e completo stoccaggio dell’acqua piovana. Un vero inverno, con un freddo schietto e duraturo. Una primavera che emerge lentamente dal sonno. Poi un’estate calda, dalle buone condizioni di maturazione, pur con a volte il rischio di forti temporali. Un anno ritmato, dove la pianta trova il suo orientamento, ha il tempo di ricaricare le batterie. Ma questi ultimi anni, si sa, sono anche anni rischiosi. E il 2013 ha avuto una dirittura d’arrivo non semplice. La vendemmia, iniziata serena, sotto un cielo mite, si è poi trasformata in una sfida: con un clima mutevole, vorticoso, molto degradato. La squadra ha dovuto spendere, in vigna come in pressa, agilità, solida osservazione e molteplici adattamenti per raccogliere ogni appezzamento nel miglior modo possibile, soprattutto i Pinot e i Meunier“.

Ma lo Chardonnay… Lui, l’ultima annata del decennio recente con questa nettezza di scansione stagionale l’ha messa evidentemente a frutto in pieno.

Ed eccolo qua, allora, questo Blanc de Blancs targato 2013. Che, come la spia di un famoso libro divenuto poi anche film, è venuto innanzitutto dal freddo. Il che, in questi tempi sempre più segnati dai record di picchi e medie del calore, è una vera rarità. Come il rinvio – spiegato da Alice – della fase vendemmiale a periodi (si è sfiorato quasi l’ottobre) anch’essi d’altri tempi. Ma poi: basi suffragate dalla patente di nobiltà garantita dalle origini (solo Grand Cru, di Mesnil e Oger), per un quarto lavorate in legno piccolo e il resto in acciaio; quindi lunga sosta sui lieviti ed esito e suggello fine e teso, accenti di agrumi e ricordi di gesso nobile, rifiniti da nuance, delicate anch’esse ma più avvolgenti, di frutta bianca e secca, e un totale che vibra ma non respinge. E che che dà ragione a chi ci ha creduto, e ha saputo arrivarci.

Conclude Alice, co-maieuta della “creatura”: “Ora abbiamo questo primo follow-up a nove anni dalla partenza; è tutto sommato ancora poco rispetto alla scala della vita dei nostri vini. Ma soprattutto abbiamo questa consapevolezza in più, il senno di poi delle nove stagioni trascorse dal 2013, e in condizioni così diverse… Non credo che nessun anno in futuro si avvicinerà allo stile molto particolare, allo stesso tempo profondo, cristallino e suadente, del 2013. E sono particolarmente felice di poter incasellare tra i miei ricordi quest’annata così speciale, quasi testimone d’un passaggio epocale“.

Ps: com’è ormai costume della casa, anche la veste del vino targato Paillard ha senso e valore speciale, firmata da artisti (stavolta è una donna, Anne Commet) e ancorata a un’idea, un concetto, un tema evocativo. Altissimo stavolta: perché la scelta ispiratrice è caduta sulla parola “Libertà”.

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