La giacca è ancora là, appesa alla sedia della mitica scrivania, grande e scura seminascosta dietro le botti. Era stata spostata qualche volta, e riposta, anche solo per facilitare le operazioni di spolvero. Ma, magicamente, ogni volta è ricomparsa come se aspettasse ancora – e sempre – il suo proprietario. La “magica” resilienza e le epifanie della giacca del “dottore” Franco – così tutti, addetti e frequentatori, lo conoscevano e lo chiamavano – è forse la metafora migliore di quel che accade oggi da Biondi Santi. Dove molti sono i cambiamenti in atto, dopo la scomparsa del “dottore”, appunto, e il subentro nella proprietà (divenuta di recente totale, con assorbimento anche della ultima quota rimasta in mano alla famiglia) da parte di mr. Descours e della EPI, il gruppo della “nuova” famiglia: ma tutti tesi – questo è l’assunto, e la logica che c’è dietro le operazioni per ora non fa una grinza – nel segno della prosecuzione del cammino e seguendo la stella di chi con tanta capacità innovativa e visione a suo tempo aveva saputo tracciarlo. Vanno in questa direzione l’acquisizione di circa 6 ettari a San Polo, in posizione e con condizioni microterritoriali per molti versi parenti strettissime di quelle del Greppo; il contemporaneo espianto di vigneti (proprio attorno alla casa e cantina originarie) non più all’altezza della qualità altissima perseguita sempre e comunque; il rinnovo del parco dei contenitori da fermentazione ed elevazione, necessario ma eseguito in modo da restare fedeli al verbo (legno grande, cemento, poco acciaio) del “dottore”, appunto. E infine il lavoro iper approfondito di screening sui suoli di ogni vigna aziendale per esaltarne le vocazioni e iniziare una parcellizzazione che (questa sì) potrebbe in futuro portare a una novità autentica: il varo eventuale di un “single vineyard” targato Biondi Santi.
Per ora però la gamma resta la stessa.
E quale epilogo migliore, dunque, per un Benvenuto Brunello come quello 2020 che ritrovarsi innanzi a cinque creazioni (esempi lampanti di presente e passato, con il cadeau dell’ultima Riserva firmata da Franco Biondi Santi) della maison che ha “inventato” di fatto il vino e il nome?
Sensazioni di grande attesa ed emozione – va confessato – quelle che ti assalgono già imboccando l’iconico duplice filare di cipressi che porta dentro la Tenuta del Greppo.
Nella sala da degustazione, con la tavola incastonata tra le botti, è Giampiero Bertolini, l’amministratore delegato incaricato di coniugare il futuro e il passato – la sfida di rinnovarsi per restare se stessi insomma – a introdurre la giornata, le scelte fatte e in cantiere, i vini. Mentre due signore straordinarie (e straordinariamente colte e affettuosamente legate alla “mission”), Sabine e Yana, cesellano ogni dettaglio di accoglienza.
Il fulcro di giornata – e, a giudicare dall’ esito del tasting, anche di vari decenni a venire – era appunto la Riserva 2012, ora in rilascio, testamento in bottiglia di Franco Biondi Santi, ultima creatura, di un percorso aziendale e di ricerca lungo ben oltre il mezzo secolo di lavoro.
Prima del magic moment, però, ecco il presente, appunto.
Incarnato dal Rosso di Montalcino 2016, che con il nuovo posizionamento (una calcolata rivendicazione di ambizioni) è atteso da un prezzo indicativo in scaffale non inferiore ai 60 euro. Grazia e scioltezza. Freschezza all’ingresso in bocca, con tannino ancora presente ma agile, approccio – non arduo ma piuttosto carezzevole – con sentori di frutta rossa fresca (anche piccoli frutti) e pesca bianca, buona materia in centro bocca, bella persistenza. Un vino scioltamente oltre i 90/100
Brunello di Montalcino 2011: il primo di due “second release”, ritorno in campo di annate già in parte commercializzate, ma di cui ora sembra esemplare proporre, a maturità conseguita, un certo numero di bottiglie. Quelle di quest’annata (calda e compatta, aperta e godibilissima ora) costeranno presumibilmente sui 150 euro a scaffale. Il vino ha sentori sottobosco all’olfatto. Agrume ancora, e tono leggermente ferroso in bocca, gusto rotondo, mora persistente in chiusura, avvolgente e calda. È un millesimo visibilmente in piena parte apicale del suo percorso. To drink. 94/100
Brunello di Montalcino 2009: stesso prezzo, ma musica olfattiva e gustativa diverse per questo Brunello dal colore classico del grande Sangiovese di qui, e subito segnato da stimmate di maggior austerità e freschezza del pur più giovane “fratello”, con un attacco teso di arancia rossa e una bocca in equilibrio tra frutta, terrosità, souvenir “minerali” di galestro. Il sorso si amplia in centro bocca, avvolgendo tutto il palato, con goloso equilibrio delle sensazioni. Emblematico esempio di come un’annata non celebrata poiché nata tra proclamati “titani” (2008 e 2010) riesca a sprintare trascorsi oltre 10 anni. 96/100
Brunello di Montalcino Riserva 2012: dedicata con apposita fascetta al lavoro di Franco Biondi Santi, lo onora appieno. È fuori di retorica un vino spaziale e insieme terrestre, localissimo, iperterritoriale. Il naso è composto, stimolante, variegato e prelude già a tensione agrumata. Al palato, è evidente la presenza ancora di un tannino ancora austero, che lascia posto a toni di frutto rosso pieno e scuro (ciliegia e amarena) ma condito da ritorni di sanguinella e da una sapidità che fa da parentesi finale e da scia lunghissima alla beva, rifinita da appena accennate note balsamiche, con toni di frutto rosso scuro. Ha tutti i presupposti di vita lunghissima e gloriosa, ed è uno dei migliori vini sentiti qui negli ultimi decenni. 99/100
Brunello di Montalcino Riserva 1998: per chiudere, uno step back divertente quanto istruttivo e “nobile”. Altra annata supposta minore, chiusa tra ’97 (che poi da grandissima d’approccio è stata in parte ridimensionata) e il reputatissimo ’99. Sentori di sottobosco, aria di fungo e spezie al naso e all’attacco in bocca, corredato da balsamicità e tannino ancora presente, che lo rende ancora più che bastevolmente dinamico. In centro bocca sensazioni di frutta matura, con tonalità agrumate e nuovo spunto di spezie per un finale vagamente “orientale”. Bella espressione per un vino ultraventenne e un millesimo (appunto) tutt’altro che “strillato”. 93/100
Emozione via emozione, il finale post degustazione nel “sancta” di Biondi Santi. La cantina – non aperta al pubblico, ma solo su inviti e visite concordate di specialisti – in fase di mutazione strutturale ma non filosofica, affidata alla guida del giovane, passionale ed energetico enologo Federico Radi, e infine il caveau del “tesoro”, dove tutte le 39 Riserve prodotte nella storia aziendale (via con il 1888!) sono ancora custodite, in quantità variabili ma con cura eguale per tutte. D’ora in poi, nel forziere resterà il 40% circa della produzione di ognuna delle prossime, ma anche una quota dei Brunello annata. Per un nuovo capitolo di storia che vuol continuare a onorare la vecchia.
Antonio Paolini e Paolo Valentini
Montalcino 22 Febbraio 2020
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