Ecco il top di gamma di Barone Pizzini: 70 mesi sui lieviti e uscita dopo il 2012
Bagnadore 2011? Sì, ma“dopo” Bagnadore 2012. Negli scacchi potrebbe essere, a scelta, un arrocco (lo scambio di posizione tra due pezzi per difendere il più pregiato, il re) o un gambitto, l’offerta di un pezzo da “mangiare” (…da bere ovviamente in questo caso) per proteggere quello che più conta. In casa di chi fa vino è appunto la posposizione dell’annata. Far uscire cioè prima un millesimo più pronto, ancorché più giovane, per dare il tempo a uno precedente – ma evidentemente più complesso, strutturato, e dunque mediamente più importante – di venir fuori a dovere.
Pratica di grandi vignaioli in genere, quelli che antepongono coerenza e blasone della loro “creatura” top alle fregole e urgenze del mercato, fidenti che alla lunga la scelta qualitativa li ripagherà più di un compromesso.
Opzione quasi riservata in passato ai vini fermi (ma rossi e bianchi se questi ultimi sono da lungo tragitto, e casa Valentini in questo campo docet), ora si affaccia anche nel mondo bolle, francese (prima) e italiano.
Cantina Barone Pizzini
Je vous ai joint le devis de mon peintre et voici quelques photos prises sur place
E la fa sua – assolutamente a ragione, alla prova dell’assaggio – Barone Pizzini, l’azienda franciacortina che ha aperto le porte nella sua zona al verbo del bio e del biodinamico (replicando con trasparenza, abilità e successo nelle Marche da Verdicchio di Pievalta) per il suo préstige, appunto. Tenuto fermo in casa per otto anni dalla vendemmia e per oltre 70 mesi ad affinarsi e arricchirsi di nuance proteiche sui lieviti, in bottiglia.
Una vigna – il Roccolo, ultraventennale – e una scelta ormai consolidata alle spalle, 60% Chardonnay e 40% Pinot Nero vinificati separatamente in legno piccolo e inox, il Bagnadore è mediamente sempre all’altezza di una fama ormai consolidata (e condita da un rapporto qualità/prezzo davvero intrigante per il suo target).
Piermatteo Ghitti (a destra) e Silvano Brescianini (a sinistra)
Ma la “banda” Pizzini, orchestrata e coordinata dal manager (e attuale presidente del Consorzio di tutela) Silvano Brescianini, si è resa subito conto di avere a che fare con un prodotto eccezionale, figlio di un’annata epica. E allora: pazienza, attesa, e disco verde al 2012. Più amabile già al primo contatto, fedele a un copione mediterraneo che lo vuole armonioso e bilanciato tra note di frutto goloso e belle finiture speziate e floreali. A confronto il 2011 – l’azienda ha scelto con trasparente orgoglio di farli degustare in sequenza, abbinati alle pietanze scintillanti e dal solare souvenir sudista di Viviana Varese, al nuovo “Viva” milanese ambientato nel contesto Eataly – è una scimitarra dalla lama damaschina. Lucente, affilata, vibrante e sonora, ma – come le più preziose delle spade antiche – finemente istoriata di profumi incisivi e coerenti (dalle erbe aromatiche al lime), e poi rilasciandosi nel calice da sottili note di pepe lungo al mandarino.
Un vino per il quale il lungo cammino fatto pare solo preludio a quello che seguirà, e dallo score potenziale – già altissimo – anch’esso da rileggere in ascesa ai futuri riassaggi. Come conferma la chiosa intelligente proposta dalla degustazione del Bagnadore 2004, offerta come finale del test: figlio di straordinaria annata anch’esso, saporito, completo e godurioso, ma evidente frutto di saperi inevitabilmente un filo più acerbi, come del resto era la vigna madre. Work in progress, dunque, sul Bagnadore. Come è giusto che sia.