L’Albania non è certamente riconosciuta come una terra da vino ma, approfondendo un po’, si scopre come anche in questo Paese vi siano produzioni interessanti.
L’occasione per l’approfondimento è stata una Masterclass organizzata dalla sede centrale dell’Associazione Italiana Sommelier che ha coinvolto esperti e produttori nonché la partecipazione del Console Generale dell’Albania.
I legami tra Albania e Italia sono profondi e radicati; tante sono infatti le aree del centro-sud Italia dove ancora si parla un dialetto di diretta derivazione albanese a riprova delle ondate di immigrazione avvenute dal XV secolo a seguito dell’invasione ottomana. Dominazione che, iniziata alla fine del 1300 e conclusasi solo agli albori della Grande Guerra, ha sempre vietato il consumo di alcol e, di conseguenza, anche la coltivazione della vite non era particolarmente sviluppata; la viticoltura è dunque pratica relativamente recente.
Durante il regime dittatoriale di Enver Hoxha che seguì alla fine della Seconda Guerra Mondiale (1944-1985) si reimpiantò vigna e gli ettari crebbero fino a 15.000. Ma la rivoluzione che seguì alla sua morte però distrusse tutto ciò che sapeva di passato, compresi i vigneti. Nel 1991 ne erano rimasti solo 2000 ettari. Oggi la situazione è decisamente migliorata e, grazie ai nuovi impianti, si raggiungono i 25.000 ettari.
Una parte importante delle uve prodotte sono destinate alla distillazione per la produzione della bevanda nazionale, il Raki, stesso nome ma caratteristiche diverse rispetto a quella turca.
Dal punto di vista legislativo, la produzione di vino in Albania è lasciata totalmente alla discrezione dei singoli produttori in quanto non esiste alcun disciplinare di produzione così come manca la cultura di indicare in etichetta i vitigni utilizzati siano essi in purezza che in assemblaggio.
Il consumo locale di vino albanese è scarso in quanto manca la tradizione; attualmente le aziende vinicole si stanno organizzando aprendo, negli stessi locali della cantina, degli agriturismi che facilitano e aumentano la vendita del vino prodotto.
L’Albania ha una superfice di poco meno di 29 mila chilometri quadrati (poco più della Sicilia) e conta meno di tre milioni di abitanti. Il suo territorio può essere suddiviso in fasce altimetriche che lo ripartiscono in senso verticale arrivando, dal livello del mare a oltre mille metri di altitudine.
Medesima suddivisione può essere applicata anche in relazione alla temperatura media annua e alle precipitazioni. Si passa dai 14° C della fascia costiera del nord ai 18 della parte sud del paese, temperature che si riducono nella parte interna con l’incremento dell’altitudine. Anche le precipitazioni subiscono un andamento simile e scendono dai 1500 mm/anno della zona costiera del nord, ai 1000 della costa sud; man mano che ci si addentra all’interno del Paese le precipitazioni aumentano e rispettivamente salgono a 2600 e 1800 mm/anno.
Numerosi sono i vitigni autoctoni diretta conseguenza anche della posizione geografica dell’Albania che per secoli ha fatto da cerniera tra l’Oriente e l’Italia.
Il 35% dei vigneti è impiantato a Shesh i bardhe e a Shesh i zi, versioni rispettivamente bianca e nera del medesimo vitigno. Shesh in albanese significa “raso al suolo” e ricorda come durante l’occupazione ottomana tutte le chiese cattoliche siano state rase al suolo. La zona principale di coltivazione è la piana di Sukth.
Lo Shesh i bardhe 2018 della Kantina Alimani è di un bel giallo paglierino con riflessi che virano verso il dorato, al naso le note sono fresche, floreali ed erbacee; in bocca il vino è secco, di buon corpo. Buona la freschezza e la persistenza.
La versione della Kantina Duka (annata 2020) assume tonalità che spaziano dal dorato al rosato, le note si fanno più mature e la bocca regala un’ottima acidità diritta e vibrante; lunga la persistenza.
Una versione fuori dagli schemi, realizzata con macerazione di 30 giorni, è invece quella della Kantina Balaj (annata 2017) il cui colore ambrato è coerente con il metodo di vinificazione. La frutta è candita con una buona componente minerale e note speziate dolci. In bocca è comunque asciutto, di buona la freschezza e con la sapidità esaltata dal tannino proveniente dalla macerazione.
Lo Shesh i zi del medesimo produttore (annata 2016) matura in acciaio per oltre 12 mesi prima dell’imbottigliamento. Dal bel colore rosso granato, si presenta al naso con note di frutta matura croccante, floreale e balsamico. In bocca è sapido con un tannino non evidente e una buona persistenza.
Il vitigno Kallmet è presente in circa il 20% della superficie. Vitigno a bacca rossa, è dotato di una ottima base polifenolica ed è tipico della piana di Zadrima nel nord del Paese.
La versione dell’annata 2018 della Kantina Medaur si presenta di un bel rosso rubino che al naso si esprime con spezie e tostature (frutto anche del passaggio, per 12 mesi, in barrique francesi) a cui si aggiungono note di frutta rossa matura e un garbato sentore di legno di rosa. Ottima la presenza in bocca, sottile e verticale, con un tannino integrato e buon equilibrio e persistenza.
Dopo una trentennale brillante carriera in ambito amministrativo finanziario all’interno di un noto gruppo multinazionale, dal maggio 2018 si dedica totalmente al mondo del vino del quale è appassionato partecipe da oltre quindici anni. Sommelier dal 2005 e degustatore Associazione Italiana Sommelier, assaggiatore di formaggi ONAF, assaggiatore di grappe e acqueviti ANAG e degustatore professionista di birre ADB, è relatore in enologia nei corsi per sommelier. È stato responsabile redazionale del sito internet della delegazione AIS di Milano e ha collaborato alla stesura delle guide Vitae e Viniplus. È redattore per la rivista Viniplus di Lombardia, per la quale cura due rubriche, è inoltre autore per la rivista Barolo & Co e per le testate on-line vinodabere.it, e aislombardia.it.
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