Per il mio primo assaggio del 2021 ho scelto un vino, ovvero un vitigno, che ha rappresentato, e ancora rappresenta, un’icona dei vini del sud: l’Aglianico. Negli anni ‘80 questo vitigno è stato il portabandiera della riscossa, della rinascita enologica del meridione; una risposta all’esplosione qualitativa, alla notorietà internazionale che in quegli anni avevano conquistato o stavano conquistando i vini toscani e piemontesi. Non a caso venne coniato per l’Aglianico il soprannome di Barolo del Sud: non per un’assonanza aromatica dei due vini quanto piuttosto per la complessità, profondità e stratificazione degli aromi che il vino Aglianico, come il suo blasonato collega Barolo poteva comunicare. Le regioni del sud che esprimono ad oggi i vini a base Aglianico più “titolati” e noti anche a livello internazionale sono la Campania, con il Taurasi in primis, e la Basilicata con l’Aglianico del Vulture. È di quest’ultima categoria che voglio parlarvi oggi, e nella fattispecie dell’Aglianico del Vulture della Cantina D’Angelo.
L’Aglianico del Vulture è un vitigno antico, probabilmente esportato in Basilicata dai Greci nel VI-VII secolo A.C., citato anche dal poeta latino Orazio, originario di quei luoghi. Il suolo di origine vulcanica, l’altitudine e il microclima delle terre lucane, di quelle a ridosso del Monte Vulture in particolare (che millenni fa era un vulcano), hanno costituito un habitat peculiare per lo sviluppo di questo vitigno.
La Casa Vinicola D’Angelo nasce agli inizi degli anni ’20, fondata dal padre di Rocco D’Angelo, nonno degli attuali titolari Erminia e Rocco D’Angelo, figli di Lucio D’Angelo. L’Azienda è situata nel cuore della produzione dell’Aglianico del Vulture, ai piedi dell’omonimo vulcano spento, tra Rionero, Barile, Rapolla e Ripacandida. Oggi conta 25 ettari di vigneto di proprietà, produce circa 250.000 bottiglie. I vigneti sono situati a circa 400 metri s.l.m..
Approfittando, si fa per dire, della clausura forzata a cui in questi giorni siamo ancora costretti, ho improvvisato una mini-verticale di vecchie annate del “Canneto”: uno dei vini storici che hanno fatto conoscere questa azienda in Italia e contribuito all’affermazione dell’Aglianico del Vulture tra i rossi italiani più apprezzati nel mondo.
Il Canneto è un IGT Basilicata Rosso, da uve aglianico in purezza. Nato a metà degli anni ’80 è stato uno dei primi vini del sud ad essere vinificato in barrique: una novità per l’epoca l’uso del legno piccolo, gestito però con estrema oculatezza, che ha aggiunto eleganza e raffinatezza alle caratteristiche distintive e originali del vitigno.
IGT Basilicata Rosso “Canneto” 2008
La 2008 è un’annata considerata ottima per l’Aglianico del Vulture (Fonte Assoenologi).
Rosso rubino denso con unghia granata. Profumi intensi e maturi di frutta rossa macerata (ciliegia) e piccoli frutti di bosco (ribes, more), poi corteccia, terra, fungo; retro olfatto con nuance terziarie: carne affumicata, etereo. In bocca note terziarie più evidenti: la nota fruttata (ciliegia) è meno intensa, l’acidità accentuata, ed è presente una leggera vena ossidata. Di media struttura, con tannini molto fini, sapido, sorso succoso, di media persistenza.
IGT Basilicata Rosso “Canneto” 2004
La 2004 è stata una annata buona in generale e buona ma non eccezionale in Basilicata. Quell’anno però i vini della cantina D’angelo – ed il Canneto in particolare – hanno riscosso grossi successi tra gli opinion maker del mondo del vino.
Rosso rubino cupo con riflessi granati e unghia aranciata. Profumi intensi di frutta rossa in confettura, subito affiancati da note selvatiche, di terra umida, pelliccia. Il tannino è fine ma ancora energico, la beva è agile, slanciata, nel finale emergono sfumature ossidate, di liquirizia e di erbe amare. Dopo la deglutizione gli aromi permangono a lungo sulla lingua e nel palato.
IGT Basilicata Rosso “Canneto” 1998
La 1998 è stata considerata una annata buona in Basilicata, come la 2004. Il Canneto è stato giudicato il vino meglio riuscito della gamma produttiva aziendale per quella vendemmia.
Rosso granato scarico, luminoso, con riflessi aranciati. Apre al naso con note selvatiche di pelliccia, cuoio, e sottobosco (corteccia, terra, erbe balsamiche), poi emerge la frutta sotto spirito (amarena, prugna) e la mineralità (ferroso) ; nel palato in primo piano una confettura di frutta rossa molto dolce ma non stucchevole (ciliegia, arancia rossa), tannini e acidità integrati nel frutto, finale salino (fa venire l’acquolina in bocca) con lievissima ossidazione; gli aromi molto fini di amarena ti accompagnano con una persistenza lunghissima. Grande vino! Un esempio di eleganza e raffinatezza che il lungo tempo trascorso in bottiglia ha saputo realizzare.
Sono un appassionato del mondo del vino, mi piacciono i profumi e i sapori che ogni bottiglia di vino racchiude, le sensazioni e le emozioni che trasmette. Mi piacciono molto anche i distillati, in particolare la grande varietà e specificità del mondo del whisky. Laureato in Fisica, con un passato di marketing manager nel settore Servizi e Innovazione di una società leader di telecomunicazioni, oggi critico enogastronomico per passione. Scrivo di Vino, Distillati ed Olio sulla testata giornalistica Vinodabere (www.vinodabere.it). Collaboro anche con le testate di settore “Luciano Pignataro (www.lucianopignataro.it)”, "Wining (www.wining.it)" ed “Epulae (www.epulaenews.it)”. Giudice per il concorso internazionale Grenaches du Monde. Assaggiatore per la “Guida Flos Olei“ di Marco Oreggia. Ho collaborato per l’edizione 2018 con la guida "I vini d'Italia" de l'Espresso. Sommelier AIS dal 2001, Sommelier AISO dell’Olio e degustatore iscritto all'albo per la Regione Lazio.
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