Era riuscito in un’impresa tra le più ardue: quella di ribaltare un luogo comune.
Nella fattispecie, quello che con granitica (e francofila) certezza asseriva che in Gran Bretagna mangiar bene – o ancor peggio benissimo – fosse praticamente un’utopia.
Michel Roux, il grande “cuciniere” che ci ha appena lasciato (aveva compiuto i 78 anni), remaker e artefice di un modo di pensare piatti e cibo classico nella sostanza, impeccabile nella eleganza dell’evoluzione, aveva aperto il suo avamposto a Londra – Le Gavroche si chiamava, come il monello parigino rivoluzionario e barricadiero dei Miserabili di Victor Hugo – nel 1967, quando al concetto di haute cuisine made in England non credeva davvero nessuno, o quasi.
Quindici anni dopo Le Gavroche aveva 3 stelle Michelin messe insieme nel quinquennio tra il ‘77 e l’82, allevando in casa future star come il “bello” dei fornelli Marco Pierre White e l’apripista dei cuochi mediatici Gordon Ramsay e aprendosi anche la strada della cronaca a sensazione con la famosa “cena più cara del mondo”, un conto equivalente a oltre 21.000 dollari per tre commensali (ovviamente larghi di manica su tutto, dal menu ai vini, dai digestivi ai Cohiba et similia).
E i suoi libri – accurati, tecnici, preziosi soprattutto nella rielaborazione dei grandi fondamentali, per tutti le salse, su cui Roux era autorità assoluta ed erede depositario della più grande cultura Italo-francese – erano via via divenuti vere bibbie. L’ultima fase della sua attività era stata anch’essa divulgativa. Via etere o cavo, in tivù insomma, come è regola da un po’ di anni, mantenendo saldo il suo ruolo, malgrado i lustri trascorsi e le tante novità, di eponimo alfiere della rinascita gastronomica di un’Albione nei suoi confronti – va detto – mai perfida né ingrata.