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Ampeleia: Sintesi delle diverse espressioni di un ecosistema che spazia dal mare alla montagna, dal bosco alla vigna

Ampeleia il sogno di Elisabetta Foradori, Giovanni Podini e Thomas Widmann nella selvaggia Alta Maremma, è nata da un viaggio che i tre amici decisero di fare, agli inizi degli anni 2000, alla ricerca di un luogo speciale, che fosse il connubio e la sintesi delle diverse espressioni di un ecosistema che spazia dal mare alla montagna, dal bosco alla vigna. Ma che alla fine risultasse un tutt’uno capace di adattarsi ai cambiamenti, così evidenti (e non facili da affrontare)  che stanno segnando questi ultimi anni.

Oggi l’azienda si estende su più di 120 ettari di superficie dislocati tra i 200 e i 600 metri di quota, su terreni ricchi di rocce di Palombino nella parte più alta, per poi passare a sabbia e sedimenti fossili man mano che si scende e ci si riavvicina al mare. Il tutto accompagnato da quell’argilla che sembra essere il filo rosso (di nome e di fatto) che lega i suoli aziendali, dialogando in modo ogni volta diverso con le altre componenti..

Sono 35 gli ettari vitati, 81 quelli a bosco e prato, 2 da seminativi e 2 quelli ad uliveto, il tutto completato da un piccolo allevamento di mucche (fornitrici anche di materiale organico usato in vigna) e ancora animali da cortile e api, per sostanziare ancor di più la biodiversità del luogo e a testimoniarne (le api, viventi rilevatrici di ecosalubrità) la verginità.

Ampeleia è stata per i suoi fondatori – sono loro a dirlo – una “tela vuota” su cui dipingere  le proprie idee e convinzioni, tradotte in vigne, boschi e allevamenti condotti secondo i principi fondamentali della biodinamica, a che l’azienda ha adottato e pratica dal 2009.

Vasche di cemento presenti in cantina

Sul fronte vino si predilige (ovvia e coerente conseguenza) il lavoro in vigna rispetto a quello di cantina (“la terra va ascoltata“) ma senza dogmi. E avendo il coraggio di resettare scelte, fatte precedentemente, se non risultano più in linea con i tempi, le condizioni e il luogo in cui ci si trova.

Intanto però i cambiamenti climatici degli ultimi anni hanno visto le piante, sorrette da una terra sana e in equilibrio, adattarsi senza traumi eccessivi e continuare a dar vita a grappoli sani e ricchi, da cui ottenere vini con gradazioni alcoliche addirittura più basse che in passato grazie al progressivo reimpostare la “competizione” in vigna, ma lasciando intatte, anzi esaltando sovente le caratteristiche timbriche e organolettiche che da sempre caratterizzano i vini di qui. Ciò rappresenta un risultato particolarmente importante rispetto a un mercato che va via via riducendo il suo feeling per i vini troppo opulenti.

Thomas Widmann e  Elisabetta Foradori non fanno più parte della proprietà, anche se quest’ultima è rimasta membro del CDA; così la famiglia Podini è diventata socio unico, affidando la gestione globale al vignaiolo Marco Tait,  presente sin dall’inizio nel progetto, insieme a tutti gli altri membri della squadra. Il cui entusiasmo e il senso di condivisione appaiono palesi non appena si varca la soglia di Ampeleia.

Marco Tait mostra una roccia di Palombino

Nel cui edificio principale ha sede oltre alla cantina anche l’agri-ristoro (la cucina, territoriale e lineare, affidata a Ilaria Patacconi e Tiziana Ferrari, fa della qualità e dei valori nutrizionali delle materie prime, autoprodotte e non, il suo fiore all’occhiello; la prenotazione, per ottimizzare il servizio, è cortesemente richiesta).

I vitigni di Alicante nero, Cabernet Franc, Merlot, Carignano e quelli a bacca bianca tipici di qui (Trebbiano Toscano, Ansonica e Malvasia), danno vita a vini che “debbono” esprimere appieno il territorio (la scelta dell’azienda è che sua sia la voce più forte e che le varietà, pur valorizzate e assecondate al massimo, siano indispensabili comprimarie ma non attori protagonisti).

Il risultato è  una gamma ad alto tasso di piacevolezza in cui spiccano punte di altissimo livello. Come testimoniato dagli assaggi (formali e informali, con sfilata di pezzi di varie annate chiave abbinate ai piatti delle due chef) di cui vi riportiamo le impressioni.

Iniziamo con la bottiglia di (e da) Unlitro che l’azienda considera il “vino quotidiano“, quello che identifica la sua voglia di fare qualità ma senza troppi fronzoli e punta ad esser bevuto in un clima di grande convivialità. L’annata 2023, assemblaggio dei diversi vitigni rossi presenti in azienda, mixa con sapidità e vivacità memorie di gustosa rusticità a quel  senso di freschezza che tanto piace al consumatore di oggi (e alla fascia giovane che malgrado tutto continua ad avvicinarsi e interessarsi al vino).

A seguire, ecco il Rosato di Ampelia, anche lui 2022, proposto nella taglia  classica e in magnum; assemblaggio da Carignano e Alicante Nero con percentuali che variano da annata ad annata, è ottenuto da una vinificazione in bianco del Carignano, nel cui mosto vengono messi in infusione i grappoli di Alicante nero. Estrazione delicata e “spontanea” dunque. L’esito è un rosato gastronomico, in cui freschezza, tannino (delicato ma presente), succo e sale trovano un equilibrio di tutto rispetto. Il confronto diretto ha peraltro ribadito ancora una volta la superiorità della versione in magnum, compagna mirabile poi di i salumi e formaggi di straordinari artigiani locali.

L’assaggio dei Bianco di Ampelia 2022 e 2023 (quest’ultimo campione di vasca) serviti in sequenza conferma la bontà della scelta, maturata di recente, di rinunciare totalmente alla macerazione sulle bucce prima praticata. E così questo vino assemblaggio di Trebbiano Toscano in prevalenza, Malvasia e Ansonica a completare, grado alcolico “antico e insieme attualissimo  (10,5°) regala un connubio di ricchezza e levità, garantita dalla giusta acidità, capace di attirare un pubblico più che mai assortito e una preziosa versatilità di utilizzo.

Coi rossi entrano in campo i vini che hanno fatto la storia di Ampeleia, innanzitutto l’Alicante Nero (annata proposta 2022) le cui vigne sono ubicate nella parte più bassa dell’azienda e più vicina al mare. Ben sette le parcelle, vinificate separatamente, e fuse in un insieme che cambia di anno in anno composizione a seconda dell’andamento del ciclo e della riuscita di ciascuna. Una vinificazione in cemento (la materia regina in cantina perché  ritenuta la meno “compromettente” ma saggiamente evolutiva, con virata in corso verso il non vetrificato), frutto di una stratificazione di grappoli interi intervallati al mosto dello stesso vitigno, un… sandwich a più strati che dà vita a un vino succoso, vivo, allegro e di lunghezza davvero notevole, che racconta di un’integrazione davvero riuscita di tutte le sue componenti.

La mappa delle parcelle di Alicante Nero

Il Cabernet Franc è, tra i vitigni allevati, quello che, per tutti, qui, più fortemente ha assorbito ed esprime il “genius loci”; ed è  alla ribalta sia nella versione d’annata (proposta la 2022, che nonostante l’irruenza del tannino mostra subito pasta di grande interesse e di prevedibile gran capacità evolutiva nel tempo) che nell’’Ampeleia, il vino eponimo e di punta dell’azienda, di cui è stata offerta in degustazione una impressionante mini-verticale, passando dalla 2021, attualmente in commercio, alle straordinarie 2016 (classica l’annata, ricco, solido, nobile ed espressivo il vino) e 2014, la riprova di come annate presentatesi (e raccontate) come difficili e presumibilmente ingrate sappiano alla lunga regalare risultati straordinari.

Ampeleia 2016

Come questo fantastico assortimento di nitore, aromi freschi e incisivi, gustosissimi quelli di frutta e seduttivi e golosi quelli da evoluzione, tannini divenuti setosi e freschezza e amplissima capacità di donare ancora per tantissimo sensazioni nuove e ulteriori. Un figlio davvero esemplare di una pratica vitivinicola che sembra, in certi tratti, guardare al passato, ma in realtà in espressioni misurate e piacevoli come queste è straordinariamente attuale e anzi futuribile.

Lo conferma a dovere anche l’ultimo vino, figlio di un vitigno da sempre presente in azienda (e uno dei più travagliati, visti i caratteri portanti, dai mutamenti climatici e di gusto in corso): il Merlot, da cui nasce l’Empatia. Noi abbiamo assaggiato la  vendemmia 2019 (in magnum) e siamo rimasti colpiti dal primo sorso. Da un Merlot assolutamente rocchiggiano, tipico cioè di questo habitat speciale, senza le note piacione o il peso da lottatore di sumo che troppi ne banalizzano e affaticano. Rude addirittura in certi tratti, ma insieme libero da ogni eredità “verde” o peperonata da fallace maturazione, identitaria quanto disposto alla beva.

 

 

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