Approfittando della forzata permanenza a casa, causa coronavirus, nel fare un po’ di ordine nella libreria (cosa molte volte programmata e mai effettuata) è sbucato fuori “dal dimenticatoio” il libro “I mondi del vino”- Enografia dentro e fuori il bicchiere, chissà in che occasione e da chi regalato.
Accattivante il sottotitolo, relegato inusualmente nel retro copertina, “Rotondo, stellato, levigato, minerale: quando il piacere del vino è nella descrizione”. L’autore? Un docente di Sociologia della Cultura ed Etnografia nell’Università di Milano-Bicocca ma con intensa frequentazione e approfondita conoscenza dei mondi del vino, nonché piccolo produttore.
Le premesse c’erano tutte, non rimaneva che immergersi nella lettura. Già dalle prime pagine si capisce che non si tratta del classico manuale sulle tecniche di degustazione, sulle varietà dei vini, sulle etichette, sui terroir, sull’evoluzione dell’enologia, sul marketing ma le abbraccia tutte attraverso un percorso mirato a descrivere “quel grande racconto sociale che sottende la nuova cultura del bere nei suoi tratti qualificanti, mode e snobismi compresi”.
Il lettore è preso per mano e condotto alla scoperta di questo mondo, molte volte reso volutamente esoterico e per iniziati, cercando di evidenziarne le poliedriche sfaccettature che lo caratterizzano mediante un linguaggio e concetti accessibili a tutti. Anche la successione dei capitoli, che all’inizio potrebbe sembrare strana, disegna un percorso in crescendo che ne facilita la lettura e la comprensione.
Si parte dall’Introduzione “Degustando in Anteprima”, dove si analizza il concetto del “savoir-boire”, del “bien-boire” e della “fenomenologia sociale della degustazione” intesa anche come continua forma di apprendimento. Tema che sarà ripreso e approfondito nell’ultimo capitolo.
Si passa poi al Primo capitolo che vede “il vino come forma d’arte liquida” nell’accezione, non della sua creazione, ma del suo valore di mercato come forma di investimento e di collezionismo (wine auctions). Interessante anche il focus sull’influenza dei wine writer nella creazione di un vino “di culto”.
Nel Secondo capitolo “ Dietro l’etichetta: classificazione istituzionale e territori dell’identità” si introducono le classificazioni utili al consumatore “come indizio di identità e di qualità” dei vini, con i dovuti riferimenti ai “grape based”, ai “land based” nonché ai disciplinari di produzione.
Il Terzo capitolo “mai così buoni: enofilia delle qualità” affronta l’annoso, e non ancora risolto, tema dell’oggettività della qualità. Per l’autore alla domanda: in che cosa consiste la qualità di un buon vino, è difficile dare una risposta univoca e universalmente riconosciuta. Provocatoriamente si potrebbe affermare che “ è dunque la qualità del consumatore che fa quella del vino che beve!”. Nei concorsi il problema viene “tecnicamente risolto grazie a procedure di calcolo statistico delle valutazioni offerte dai giudici”, al di fuori dei concorsi “la questione del gusto soggettivo è stata invece aggirata, addirittura superata, da quella relativa all’emozione … con l’invito a guardare, anzi interpretare, il vino come emozione”; il famoso X-factor che i degustatori “eccellenti” traducono come “eccitamento”. Viene posto, in questo capitolo, anche il quesito “Il grande vino si fa in cantina o in vigna?” con riferimenti sia al territorio, suolo e microclima, che alle “alchimie cantinesche” se così si può dire: filtraggio? Legno o acciaio? Barrique o botti grandi? Un paragrafo è dedicato inoltre alla qualità dei cosiddetti vini “naturali”.
Con il Quarto e ultimo capitolo “Il linguaggio come senso del gusto” si ritorna in modo più approfondito sul “rituale delle degustazioni” mettendone in risalto il “flusso di apprendimento .. l’esperienza sensoriale “ nonché il “linguaggio impiegato”. Gli incontri stabiliscono, infatti, fra i partecipanti una “medesima comunità morale” che li vede “uniti anche solo per un attimo da un comune impegno e da interessi e passione per le medesime pratiche”. Enfasi viene messa nel descrivere il percorso di apprendimento relativo al riconoscimento degli aromi, degli odori, dei sapori di “quel mondo fluido che dal bicchiere passa al naso e alla bocca” visto come una “sorta di risveglio dei sensi relativamente perduti o scarsamente educati”, con l’attenzione comunque che “le note del vino devono ricordare quelle del mondo, non riprodurle per davvero”. Non poteva mancare ovviamente un cenno alla “Ruota degli aromi” di Ann Noble che viene introdotta con spirito critico: utile ma non assoluta! Interessanti anche le disquisizioni sui termini ormai entrate nel lessico dei degustatori quali ad esempio “mineralità” e “rotondità”.
Un libro indicato a mio parere sia per gli ormai esperti degustatori, utile a fissare/consolidare strumenti già acquisiti approcciandoli da un punto di vista diverso e meno tecnico, che per i neofiti che si avvicinano a questo mondo come premessa inusuale e di ampio respiro che sicuramente li aiuterà “nel meglio comprendere” il cammino intrapreso.
Cosa mi lascia questo libro oltre quanto già detto? La consapevolezza che se dovessimo associare il vino alla musica, saremmo al cospetto non di un solista e neanche di un complesso ma di un’intera orchestra dove ogni strumento deve suonare nel rispetto dello spartito ma non soffocando la propria individualità, creando così quell’armonia, quella melodia ricercata da chi ascolta alias chi “degusta”. E comunque vale sempre il detto “non è bello quel che è bello ma è bello quel che piace”!
P.S. : Va segnalata inoltre anche la ricchezza dei riferimenti bibliografici presente in questo libro
“I mondi del Vino” di Gianmarco Navarini – Collana “Intersezioni” – Società editrice Il Mulino – 2015
Aggiornamenti continui sul mondo dell'enogastronomia