Ogni volta che si parla di vino abruzzese, qualcuno (anche qui in redazione) mi guarda con aria di sospetto: «tu non sei mai obiettivo». E, lo ammetto, forse hanno ragione. Questa volta, però, non si tratta della solita buona notizia, bensì di una doppietta di riconoscimenti di gran prestigio che merita un brindisi serio (ma non troppo). Due cantine che conosco bene e che, ammetto, mi mettono sempre di buonumore: Torre Zambra, fresca di titolo Cantina Emergente dell’Anno per il Gambero Rosso, e Tenuta I Fauri, con il suo Baldovino appena incoronato dalla stessa guida Rosato dell’Anno. Premi che parlano non solo di bravura tecnica, ma che, a mio avviso, dicono molto anche della personalità di chi quei vini li fa nascere ogni giorno.
Baldovino, il Cerasuolo giusto fatto dalle persone giuste
Comincio dai Di Camillo, Valentina e Luigi, perché il Baldovino è uno di quei Cerasuolo d’Abruzzo che ti ricordano perché bevi vino: luminoso, schietto, profondo, ma con quella fresca disponibilità che fa pensare che la vita, in fondo, non sia poi così complicata, e che un buon bicchiere resti il modo più serio per prenderla con leggerezza. A mio avviso, è proprio in questi mesi autunnali che dà il meglio di sé: quando il tempo ha fatto il suo mestiere e il vino ha smussato gli entusiasmi giovanili. È un rosato che non flirta, conquista. E lo fa con un prezzo onestissimo, quasi provocatorio in tempi di rincari diffusi.

Bere Baldovino, per me, è poi anche un modo per frequentare — metaforicamente — Valentina e Luigi: due persone che, ogni volta che le incontri, ti migliorano la giornata. Se il primo requisito di un grande vino è la tensione etica di chi lo fa, il primo requisito di un vino gioioso è la simpatia di chi lo produce. E i Di Camillo ne hanno da vendere: sorridenti, ironici, allergici alla posa. Gente che fa vino come si fa amicizia: senza calcolo.
Torre Zambra: da Villamagna a New York (senza perdere il dialetto)
Poi c’è Federico De Cerchio. Uno che riesce a essere contemporaneamente a Villamagna e a New York, a Singapore e — forse — sul trattore (anche se, diciamolo, sui social sembra più a suo agio con il calice che col cambio). È la forza centrifuga della nuova Torre Zambra: un progetto che unisce concretezza contadina e visione globale.

La cantina di famiglia affonda le radici nel 1961, ma è diventata davvero “emergente” nel momento in cui Federico, nel ruolo di frontman, ha deciso di darle una seconda vita: comunicazione brillante, vini coerenti e “furbi” al punto giusto, un nuovo progetto di accoglienza di altissimo livello. Torre Zambra oggi incarna quello spirito pop che conquista i giovani senza far storcere il naso ai veterani. Sono vini, i suoi, che viaggiano leggeri, ma con idee pesanti.
Due volti per un Abruzzo che si diverte a essere se stesso
I Fauri e Torre Zambra sono i due lati di una stessa medaglia: uno guarda all’anima, l’altro al mondo. Entrambi raccontano un Abruzzo capace di esibire la propria identità con fierezza e ironia. Vini che sorridono, ma con sostanza. Persone che lavorano sodo, ma non si prendono troppo sul serio.
E così, ogni volta che mi dicono che sono di parte, sorrido. Perché sì, forse lo sono. Ma se l’essere di parte significa credere in un Abruzzo che ha imparato a divertirsi, a crescere e a farsi notare senza alzare la voce, allora sì: colpevole, convinto e orgogliosamente recidivo.
Abruzzese, ingegnere per mestiere, critico enogastronomico per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri, con cui ancora collabora. Vino, distillati e turismo enogastronomico sono la sua specializzazione. Nel tempo libero (poco) prova a fare il piccolo editore, amministrando una società di portali di news e comunicazione molto seguiti in Abruzzo e a Roma. Ha collaborato per molti anni con guide nazionali del vino, seguendo soprattutto la regione Abruzzo (ma va?), e con testate enogastronomiche cartacee ed online. Organizza eventi e corsi sul vino...più spesso in Abruzzo (si vabbè...lo abbiamo capito!).
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