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Sette calici per un territorio: il Sangiovese nella voce di Montalcino

Il viaggio con Armando Castagno alla scoperta del Brunello 2020 durante èno Florence Wine Excellence

Il 21 e 22 settembre, la Fortezza da Basso ha aperto le sue mura rinascimentali a un evento che promette di diventare un riferimento annuale per la cultura del vino: èno Florence Wine Excellence.

Più di 230 aziende, 900 etichette, masterclass, workshop, un pubblico di professionisti e appassionati: una due giorni che ha trasformato Firenze in un crocevia di racconti enologici, di calici capaci di unire memoria e visione. È in questo contesto che si è svolta la masterclass guidata da Armando Castagno, intitolata “Montalcino: la declinazione di un grande terroir”, un’immersione profonda nell’anima del Brunello attraverso la degustazione di sette etichette dell’annata 2020.

Montalcino è una sola grande collina, un quadrilatero disegnato dai fiumi Ombrone, Asso e Orcia, coperto in gran parte di boschi e intervallato da vigneti, oliveti e poderi in pietra. La distanza dal mare (40 km) e dagli Appennini (100 km) crea un clima mediterraneo asciutto, ma con tratti continentali; il Monte Amiata protegge, mentre l’altimetria (120–650 metri) e l’esposizione generano un mosaico di microclimi. In alto dominano galestro e alberese, più in basso sabbie e argille; in vigna prevale il cordone speronato, e la qualità nasce da mani esperte, dalla potatura al diradamento, fino alla cernita in vendemmia. È qui che il Sangiovese Grosso, identificato nell’Ottocento come “l’uva del Brunello”, ha costruito una storia che porta dal 1966 (DOC) al 1980 (prima DOCG d’Italia ottenuta con lo stesso DPR 1 luglio 1980 insieme al Vino Nobile di Montepulciano), passando per medaglie ottocentesche e consacrazioni internazionali.

L’annata 2020 si racconta da sé: clima asciutto, estati regolari, escursioni termiche notevoli, maturazioni equilibrate. Il risultato è un Brunello di grande armonia, con tannini levigati, acidità incisive e un respiro balsamico che lo rende già oggi ammaliante, ma con prospettive di lungo invecchiamento. La parola chiave per definire la vendemmia, piacevolezza, appare davvero la più adatta: vini generosi, vibranti, intensi, capaci di sedurre fin dal primo sorso senza rinunciare alla profondità.

I vini in degustazione

Apre le danze il Val di Suga – Brunello di Montalcino DOCG 2020 che è, prima di tutto, racconto del terroir: tre vigne — Vigna del Lago (280 metri di quota), Spuntali (verso il mare, sabbie da pietraforte), Poggio al Granchio (Sud-Est, fino a 450 metri, scisti galestrosi) — compongono un’orchestra che suona insieme, ma in tre tonalità. Dopo vinificazione in acciaio a temperatura controllata e macerazione di 30 giorni, il vino riposa 24 mesi in botti di Slavonia da 50 ettolitri e circa nove mesi in bottiglia. Il calice, rubino di media intensità, libera un trionfo floreale di lavanda, peonia, rosa e viola mammola; poi erbe mediterranee — rosmarino, timo — su una ciliegia ferrovia succosa che trasporta cenni di pepe rosa, tabacco dolce e corteccia. In bocca l’acidità non cerca lo strappo, preferisce un passo asciutto e composto: la sapidità incide, asciuga, e in coda affiora una nota amaricante, data dal dialogo tra sali e trama tannica che allunga il sorso su lontani echi di noce.

È un Brunello severo nella postura, autorevole, che promette un’evoluzione capace di distendere il registro aromatico senza perdere rigore.

Si sale poi a Nord con Canalicchio di Sopra – Brunello di Montalcino DOCG 2020 in quel profilo stilistico che la casa persegue con chiarezza identitaria. Il Brunello 2020 nasce per metà dal cru Canalicchio (argille con ricchezza di magnesio, ferro e manganese) e per metà da Montosoli (galestro ad alto tenore minerale e carbonati di calcio), con altitudini variabili tra 278 e 323 metri e allevamento a cordone speronato. La vinificazione è in acciaio, 25 giorni di macerazione, poi 36 mesi in botti di Slavonia da 25–50 ettolitri e un anno in vetro: un percorso classico per un vino dal rubino più fitto e dal naso che vira sul terroso — sottobosco, fungo, soffi balsamici di eucalipto — con un tocco di china, viola mammola e frutta rossa matura. In bocca è più avvolgente del precedente, con tannino fruttato e levigato con una sapidità che allunga nel finale il sorso su una piacevole scia di frutta secca. L’annata si esprime qui con opulenza controllata, intensità e morbidezza, ma non rinuncia a profondità, freschezza e a una florealità che accarezza: la “piacevolezza” diventa la chiave di un Brunello già godibile, ma nativamente vocato al lungo affinamento.

Le Potazzine – Brunello di Montalcino DOCG 2020 declina la grazia. Due appezzamenti — Le Prata (507 metri, Sud-Ovest, impianto del 1993) e La Torre (420 metri, Sud-Est, impianto del 1996) — dopo vinificazioni e affinamenti separati vengono assemblati per un Brunello biologico certificato allevato a guyot. Qui la filosofia è ambasciatrice della tradizione montalcinese: lunghe fermentazioni spontanee con lieviti indigeni, senza controllo della temperatura, poi 42 mesi in botti grandi da 30–50 ettolitri di Slavonia e nessuna filtrazione. Il 2020, complice un andamento climatico esemplare post-lockdown, regala al calice un rubino vivo e un naso poliedrico: lavanda, violetta, primula e rosa, accenni di carrube, timo e una foglia d’incenso; la frutta è più dolce, caramella alla fragola, poi appena un soffio di alloro, rabarbaro e cuoio in chiusura. Il sorso privilegia la finezza: morbido, cesellato nell’estratto, non potente per vocazione, ma raffinato (con 13,5% vol.), che scorre in equilibrio su una trama tannica sottile e un’acidità che sorregge senza fendere. Eleganza pura, destinata a farsi seta con gli anni.

Con Podere Giodo – Brunello di Montalcino DOCG 2020 si cambia luce, quella radente che arriva da Sant’Angelo in Colle, vicino all’Abbazia di Sant’Antimo: 3 ettari a 310 metri, impianto 1998, esposizione Sud-Est (che si traduce in meno ore di sole nel pomeriggio), su terreni di argilla e sasso calcareo. La vinificazione consiste in: acciaio con 29 giorni di macerazione, infusione a cappello sommerso per un’estrazione fine dei precursori aromatici; 30 mesi in legni francesi da 5, 7 e 25 ettolitri, 6 mesi in cemento e 18 mesi in bottiglia. Il carminio del calice introduce note saponose di lavanda secca, carrube, una speziatura che tocca noce moscata e coriandolo; al palato l’acidità agrumata di arancia rossa sanguinella dà ritmo e polso, i tannini sono finissimi e fruttati, la chiusura è salina e persistente. È un Brunello di classe istintiva, intenso ma non opulento, con quell’equilibrio che nasce dalla cura maniacale “dalla vigna al legno”. Concetto che torna persino nell’etichetta: un piccolo uomo stilizzato, che solleva il mondo enologico per simboleggiare la centralità del Sangiovese, unico vitigno ammesso, unico custode dell’anima di Montalcino.

Mastrojanni – Brunello di Montalcino DOCG 2020 è classicità in assetto da lunga marcia. Siamo a Castelnuovo dell’Abate, in un mosaico di argille, arenarie, sabbie e conglomerati tra i 180 e i 420 metri, con esposizioni Sud, Sud-Est e Sud-Ovest su 14,4 ettari. Le uve, selezionate a mano, vengono diraspate e avviate per caduta in vasche di cemento resinato; la macerazione sulle bucce supera i 20 giorni, poi 36 mesi in botti di rovere — Allier, Vosgi, Slavonia, Foresta Nera e Stiria — da 16 a 54 ettolitri e almeno 6 mesi di bottiglia.

Il colore è rubino con riflessi granato; al naso si offre ampio e complesso: ciliegia scura e frutti di bosco maturi, violetta e rosa essiccata, richiami di macchia mediterranea e sottobosco, accenti iodati e salini che si intrecciano con tostature di tabacco e caffè. Al palato è pieno ma composto, con tannini fitti ed eleganti e una gradevole sapidità che rifinisce il finale lungo. Si colgono anche dettagli di caramella alla liquirizia e un’eco di arancia amara che completano un quadro poderoso e armonico, da attendere con fiducia negli anni a venire.

Ho avuto occasione, poco tempo fa, di visitare la cantina e assaggiare questa stessa annata direttamente in loco: lì il vino mi aveva conquistata per la sua energia vibrante, con un’acidità incisiva e una sottigliezza che donavano ritmo e slancio al sorso. Nel confronto, la bottiglia stappata in questa degustazione si è mostrata più compassata, con un’acidità meno marcata e quindi con minore tensione gustativa. Nulla che metta in discussione il valore del vino o dell’annata: è semplicemente il segno che il vino è materia viva, soggetta a piccole variabili, che possono influire sull’espressione del singolo calice.

Poggio di Sotto – Brunello di Montalcino DOCG 2020 racconta l’idea di eleganza come verticalità. Le vigne, tra 200 e 400 metri, affondano in suoli diversi: in alto ricchi di scheletro e minerali ferrosi, in basso con argille bianche e grigie, galestro e porzioni limose. La fermentazione si svolge in tini troncoconici di legno e in cemento, non meno di un mese, con lunghi e frequenti rimontaggi all’aria per un’estrazione omogenea ma intensa di profumi, struttura e trama tannica; seguono 36 mesi in botti di Slavonia da 30 ettolitri. Il 2020 si manifesta con un rubino brillante, leggermente scarico nello stile della casa; al naso piccole bacche rosse, rosa e viola, cenni balsamici ed ematici, una precisa nota agrumata. Il palato è una linea tesa: acidità sostenuta, centro bocca vivace e molto sapido, tannini setosi a grana finissima; la chiusura, lunga, parla di tabacco e cacao. È un Brunello “borgognone” nell’intento: bevibilità aristocratica oggi, longevità scolpita per domani.

Si chiude con Col d’Orcia – Brunello di Montalcino DOCG 2020, custode di una tradizione che continua a scegliere le grandi botti. Siamo sulla collina di Sant’Angelo, affacciata sul fiume Orcia, attorno ai 300 metri, con esposizione a mezzogiorno che garantisce insolazione piena. In cantina, fermentazioni di 14–16 giorni sotto i 28 °C in acciaio da 150 ettolitri, vasche basse e larghe per estrazioni efficaci ma delicate; poi 4 anni d’affinamento complessivo, di cui 32 mesi in botti di Allier e Slavonia da 25–75 ettolitri e almeno 12 mesi di bottiglia.

Il colore è rubino intenso con riflessi granati; il profumo un ventaglio di ciliegia e amarena e un lieve tocco di tostatura, ma nel nostro bicchiere affiora anche un registro “caldo” con richiami di paprika e peperoncino, segno del carattere solare della zona. In bocca la concentrazione è equilibrata da una freschezza vibrante: trama tannica fitta, matura ed equilibrata, struttura ben bilanciata e finale sapido, fruttato e persistente, che promette una traiettoria evolutiva nitida.

Sette calici, una sola annata, un territorio che si reinventa in infinite sfumature attorno a un unico, grande protagonista: il Sangiovese Grosso.

In Val di Suga il sorso si fa rigoroso, asciutto, scolpito dalla sapidità; a Nord Canalicchio di Sopra traduce la piacevolezza in profondità minerale; Le Potazzine ne offre la grazia più pura, in filigrana floreale; Giodo sorprende con classe e vibrazione agrumata; Mastrojanni riafferma la classicità con vigore e compostezza; Poggio di Sotto tende la linea verso l’eleganza setosa e verticale; Col d’Orcia sigilla la memoria della tradizione con la modernità.

Così la 2020 si racconta: vini che parlano con la lingua della sobrietà e con l’accento della bellezza.

Un’annata che sa donarsi subito, ma che invita anche all’attesa, come un libro che non smette di rivelare nuove pagine.

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Laureata in Cultura e Stilismo della Moda e sommelier AIS, da sempre ha fatto della scrittura il modo più naturale per descrivere le sue emozioni. Con i piedi ben piantati in vigna e lo sguardo sempre curioso, vive il mondo con eccentricità gentile, cercando in ogni dettaglio quella scintilla capace di trasformarsi in racconto. Per lei, un calice è come un libro, che legge e racconta con umiltà. Scrive come cammina tra i filari: con rispetto, meraviglia e una sana dose di autenticità. Le sue parole non vogliono spiegare, ma far emozionare e magari, per un attimo, far tornare chi legge a sentirsi a casa.

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