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26 dicembre Santo Stefano. Si ma quale? Santo Stefano di Neive naturalmente ed il Barbaresco di Bruno Giacosa

La festa di Santo Stefano rappresenta un po’ la giornata di riposo dopo i bagordi della Vigilia e del Natale, giornata in cui nelle case ci si adatta spesso a pranzare e cenare con ciò chè è rimasto dai due giorni precedenti.

E quindi non va comunque male dal punto di vista gastronomico, se uno ha fatto prima le giuste scelte.

Ed allora cosa bere in questa giornata?

Beh non fosse altro che per il nome del cru, io ho scelto il Barbaresco Santo Stefano (di Neive) 1999 di Bruno Giacosa, uno dei personaggi che ha contribuito maggiormente a fare grandi le due principali denominazioni di Langhe (Barbaresco e Barolo). Sul personaggio, data la fama non mi dilungherei oltre.

Ormai i lettori lo avranno capito, noi siamo interessati molto anche all’evoluzione del vino, come dimostrano le scelte fatte dalla nostra Guida (I Vini d’Italia de L’Espresso) di avere tra le categorie dei vini premiati ” I 100 vini da riassaggiare” ed “I 100 vini da conservare”.

E dunque la curiosità di riassaggiare un 1999, una grandissima annata, di questa straordinaria etichetta, mi ha spinto a stappare una bottiglia gelosamente conservata per diverso tempo.

Iniziamo subito con una piccola critica. La frase in etichetta “Si consiglia di servirlo a temperatura ambiente” la troviamo quantomeno fuorviante. Se fossimo in estate non potremmo bere questo vino a 26 o a 30 gradi.

Ricordiamo a tutti che la temperatura giusta per vini rossi complessi e strutturati è 18 o massimo 20 gradi.

Ma veniamo al contenuto della bottiglia, che è la cosa che c’interessa maggiormente.

Normalmente non mi soffermo mai sull’analisi visiva, ma in questo caso devo fare un’eccezione perchè un colore granato tendente al rubino (avete capito bene, ancora ci sono delle sfumature di rubino) ci mette sulla giusta strada dell’integrità del frutto e della beva. Sentori di tabacco, cuoio ed addirittura di viola e fiori rossi, si accompagnano a toni succosi e speziati, ed anticipano freschezza, materia, profondità, che si uniscono in uno straordinario equilibrio gustativo. Il lunghissimo finale mette in risalto ricordi di macchia mediterranea ed arancia sanguinella. Un vero capolavoro e per dirla alla Gigi Marzullo una bottiglia in più  “per amare, per sognare, per vivere“.

 

 

 

 

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Scritto da

Giornalista enogastronomico, una laurea cum laude in Economia e Commercio all'Università La Sapienza di Roma, giudice in diversi concorsi internazionali, docente F.I.S.A.R.. Ha una storia che comprende collaborazioni con Guide di settore. Per citare solo le ultime : Slow Wine (Responsabile per la Sardegna edizioni 2015 e 2016), I Vini de L'Espresso (vice-curatore e coordinatore nazionale edizioni 2017 e 2018), I Ristoranti d'Italia de L'Espresso (edizioni dalla 2010 alla 2018). Collabora con le testate: www.lucianopignataro.it , www.repubblica.it/sapori. Ha scritto alcuni articoli sul quotidiano "Il Mattino" e su www.slowine.it. Ha una passione sfrenata per quel piccolo continente che prende il nome di "Sardegna", per le sue terre e per la sua gente.

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