La festa di Santo Stefano rappresenta un po’ la giornata di riposo dopo i bagordi della Vigilia e del Natale, giornata in cui nelle case ci si adatta spesso a pranzare e cenare con ciò chè è rimasto dai due giorni precedenti.
E quindi non va comunque male dal punto di vista gastronomico, se uno ha fatto prima le giuste scelte.
Ed allora cosa bere in questa giornata?
Beh non fosse altro che per il nome del cru, io ho scelto il Barbaresco Santo Stefano (di Neive) 1999 di Bruno Giacosa, uno dei personaggi che ha contribuito maggiormente a fare grandi le due principali denominazioni di Langhe (Barbaresco e Barolo). Sul personaggio, data la fama non mi dilungherei oltre.
Ormai i lettori lo avranno capito, noi siamo interessati molto anche all’evoluzione del vino, come dimostrano le scelte fatte dalla nostra Guida (I Vini d’Italia de L’Espresso) di avere tra le categorie dei vini premiati ” I 100 vini da riassaggiare” ed “I 100 vini da conservare”.
E dunque la curiosità di riassaggiare un 1999, una grandissima annata, di questa straordinaria etichetta, mi ha spinto a stappare una bottiglia gelosamente conservata per diverso tempo.
Iniziamo subito con una piccola critica. La frase in etichetta “Si consiglia di servirlo a temperatura ambiente” la troviamo quantomeno fuorviante. Se fossimo in estate non potremmo bere questo vino a 26 o a 30 gradi.
Ricordiamo a tutti che la temperatura giusta per vini rossi complessi e strutturati è 18 o massimo 20 gradi.
Ma veniamo al contenuto della bottiglia, che è la cosa che c’interessa maggiormente.
Normalmente non mi soffermo mai sull’analisi visiva, ma in questo caso devo fare un’eccezione perchè un colore granato tendente al rubino (avete capito bene, ancora ci sono delle sfumature di rubino) ci mette sulla giusta strada dell’integrità del frutto e della beva. Sentori di tabacco, cuoio ed addirittura di viola e fiori rossi, si accompagnano a toni succosi e speziati, ed anticipano freschezza, materia, profondità, che si uniscono in uno straordinario equilibrio gustativo. Il lunghissimo finale mette in risalto ricordi di macchia mediterranea ed arancia sanguinella. Un vero capolavoro e per dirla alla Gigi Marzullo una bottiglia in più “per amare, per sognare, per vivere“.