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WHISKY E ACQUA: IL DILEMMA DELLA DILUIZIONE – VINODABERE – Esperienze nel mondo del vino, della gastronomia e della ristorazione
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WHISKY E ACQUA: IL DILEMMA DELLA DILUIZIONE

(foto di copertina – 2012. Pino Perrone assapora le ultime gocce di un Ardbeg 1972 single cask durante la prima edizione dello Spirit of Scotland, whisky festival di Roma).

 

L’aggiunta o meno di acqua nel vostro whisky è uno dei problemi più spinosi da affrontare, che attraversa varie forme di pensiero con persone disposte a difenderne a oltranza il proprio.

C’è poi la questione dei gusti personali, e quando si adducono questi c’è ben poco da fare, è inutile impiantare una discussione.

Che fare allora, diluirlo o no?

Anticipando un possibile finale, iniziamo dando il nostro consiglio: fate pure come più vi piace purché poniate attenzione a non rovinare il distillato, dal momento che, ovvietà che sentiamo la necessità di rimarcare, aggiungere acqua al whisky in un bicchiere è un processo irreversibile dal quale non si torna indietro.

Detto questo tentiamo di fare chiarezza.

In primis andrebbe comunque odorato e assaggiato così come è. Ci potrebbe stupire la piacevolezza e l’armonia presente, che non invita a modificare lo status quo.

Poi, se ci si sente stimolati ad andare oltre, per curiosità o perché non soddisfatti, si può procedere a una diluizione limitata. Non è peccato, perché poche gocce d’acqua non sono mai dannose, e possono, ma non sempre, anche favorire l’olfattiva.

E quando parliamo di poche, intendiamo veramente di poche : due o tre sono sufficienti.

Difatti, molti degli aromi del whisky si dissolvono meglio nell’etanolo e avviene che i composti odorosi siano rinchiusi in delle micelle. In biochimica e nella chimica fisica, la micella è un aggregato in soluzione acquosa di molecole anfifiliche, vale a dire quelle che contengono sia un gruppo idrofilo, cioè che si lega all’acqua, che uno idrofobo, che la respinge. Quando viene aggiunta dell’acqua, accade che si spezzino alcune delle micelle, permettendo a una maggiore quantità di etanolo di migrare verso la superficie della bevanda, insieme agli elementi volatili. Pertanto l’acqua aiuta a esprimere solo alcune categorie di aromi, come gli esteri e i sentori floreali che sono fra i più leggeri; i più pesanti, invece, che prima avvertivamo, improvvisamente tendono a svanire.

Ad esempio, nei cosiddetti whisky torbati, un modo per percepire di meno il sentore affumicato e tentare di far emergere anche altri aromi, laddove siano presenti, è proprio quello di aggiungere acqua. Pertanto a voi la decisione se preservare questi sentori intensi di polifenoli che tanto piacciono o meno.

Tuttavia, affinché ciò succeda e a costo di ripetersi, sono sufficienti pochissime gocce d’acqua, non una massiccia diluizione, poiché l’acqua andrebbe usata per aiutare gli aromi a uscire e non per ridurre il grado alcolico. Farlo sarebbe sempre da sconsigliare, poiché l’acqua aggiunta nel bicchiere non ha avuto il tempo di amalgamarsi e armonizzarsi col distillato. Necessita di un periodo di stabilizzazione, come quando si decide di imbottigliarlo diluito, e che di certo non può avvenire in quel contenitore aperto chiamato bicchiere, costantemente alle prese con l’ossigeno. Perciò, meno acqua si mette nel calice e meglio è, sempre che si voglia mantenere una fruizione edonistica.

Ovviamente troverete chi la pensi in maniera differente e che difende il proprio concetto a spada tratta, sostenendo che bisogna diluire il whisky anche fino a 25% di volume alcolico, perché in tal modo fanno gli esperti (ma quali?) e infine (e questa è la motivazione più ridicola di tutte) che in Scozia si usa così, cosa che oltre a non essere vera (o vera in ridottissima parte), neppure ci dovrebbe interessare giacché non è un valore. Nulla vieta a chiunque ad agire diversamente, e diluire il whisky anche in maniera superiore alla gradazione citata, dando per scontato che quantomeno lo si sia provato in precedenza non diluito e non apprezzato. Però, in questo caso, consentiteci almeno di porre una questione : la gradazione minima di messa in commercio per un whisky scozzese e di 40% di volume alcolico; scendere abbondantemente al di sotto di tale soglia ci fa domandare perché, nella scelta della bevanda alcolica da assumere, ci si sia rivolti a un distillato. Inoltre, trattandosi di un processo chimico che riguarda l’alcol etilico, pertanto comune a tutte le acquaviti, ci piacerebbe conoscere quali altre per essere bevute debbano subire una tale umiliazione.

Perché ci sembra che ciò avvenga solo con il whisky. Ma anche qui troverete chi dice che solo il whisky ne necessita : triplo bah!

Ci ripetiamo per l’ennesima volta affinché cessi il rischio di essere fraintesi : qui non si afferma che non sia necessario aggiungere dell’acqua, ma, e non sempre, in quantità irrisoria.

Naturalmente qualcuno potrebbe avere interesse a divulgare il contrario, cosicché si consumi maggiormente, ma questo appartiene a un altro discorso.

L’unica eccezione è costituita dai cocktail e i drink in generale, dove il whisky o gli altri distillati qui presenti non sono altro che un elemento, un ingrediente per la creazione di un qualcosa di nuovo e che appaga in modo diverso. È un tipo di consumo differente che in sostanza cambia al distillato la destinazione d’uso, con buona pace di alcuni puristi del whisky che si divertono a sostenere che si passa dal superattico alla cantina.

Dicevamo a proposito della gradazione minima, che deve essere 40% di volume alcolico. Nel caso del whisky full proof o cask strength, ovverosia a grado pieno, il medesimo trovato nella botte quando si decide di imbottigliare, la faccenda si complica un tantino. La superiore presenza di alcol potrebbe rendere necessario l’aggiunta di acqua in quantità maggiore, ma sempre procedendo per gradi e iniziando con le due o tre gocce canoniche, sufficienti per far avvenire quel distacco delle micelle già descritto. Se non bastasse, se si ritenga ancora troppo pungente oppure ridotto nello sviluppo degli aromi, immetterne delle altre finché si raggiunga il risultato desiderato.

Insomma, se avete mai accordato una chitarra avete compreso come fare.

Da non sottovalutare le possibilità che ci offrono queste versioni a grado pieno per agire a nostro piacimento. Una grande opportunità che tuttavia non ci deve far dimenticare che questi whisky all’origine nascono per essere tali. Se l’imbottigliatore avesse voluto immettere sul mercato un prodotto diluito a 40% di volume alcolico lo avrebbe fatto. Così come siamo indispettiti dalla massiccia censura che un film ha dovuto subire, se ridotto di decine e decine di minuti, allo stesso modo c’è da riflettere che questi whisky andrebbero rispettati.

Una cosa, invece, NON andrebbe mai fatta : mettere del ghiaccio. È il modo peggiore per salvaguardare gli aromi e sarebbe come togliere la voce a un grande attore di teatro. Se però avete adoperato un bicchiere corretto a tulipano, grazie al cielo neppure c’entrano!

E dal momento che abbiamo menzionato prima il cinema e poi il teatro, concludiamo con una frase di un grandissimo attore statunitense del passato, che non molti ricordano soprattutto fra i giovani, e che è stato un eccellente interprete di entrambi nel ruolo comico; sebbene sia una affermazione vera solo in parte, come tutte le battute di spirito, la frase di W.C. Fields è però molto divertente : Scotch needs water like a fish needs a bicycle.

W.C. Fields nel film The Bank Dick (“Un comodo posto in banca” in italiano) del 1940

 

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Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.

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