Dopo le bollicine che avete stappato a iosa a mezzanotte, è già tempo di pensare ai vini fermi per il pranzo di Capodanno.
Ed allora la squadra di Vinodabere completa la rituale formula di auguri, dandovi dei consigli
Daniele Moroni
Voglio consigliarvi per il primo giorno del 2018 un vino da fine pasto che facilmente abbiniamo con i dolci, cantucci se ne avete, che sono presenti sulle vostre tavole, ma possiamo gustare anche da solo vista la sua bontà.
Sto parlando del
Vin santo del Chianti classico 2006 – Isole e Olena
Un vino che passa 8 anni in caratello, prima di poter essere messo in commercio. Profumi di miele, frutta secca, frutta candita (scorza di arancio), caramello e rabarbaro si accompagnano a freschezza e note dolci. Il sorso è agile grazie ad acidità e sapidità che contribuiscono significativamente all’equilibrio del vino.
Maurizio Valeriani
Fiano di Avellino Pendino 2016 – Colli di Castelfranci: un’azienda che si trova a Castelfranci, nella zona più alta della denominazione Taurasi, riesce anche a selezionare grandi uve nei territori della DOCG Fiano d’Avellino, realizzando un vino energico, dinamico, speziato e minerale, che mette al centro dell’assaggio le tipiche note di nocciola e pietra focaia, insieme a toni di frutta secca e fiori bianchi.
Gianni Travaglini
Sempre pensando al menù di fine d’anno e in particolare ad un abbinamento con piatti di pesce, mi viene in mente quello che considero uno dei più buoni vini bianchi italiani “fermi” di sempre. Nonostante io sia un “rossista” convinto ho avuto modo di seguire e assaggiare questo vino nel tempo, tante annate diverse che trasferivano nel vino sensazioni differenti, ma il risultato era sempre di un vino emozionante, pieno di personalità, che non mi ha mai deluso e mi ha sempre sorpreso:
Il Pinot Bianco Riserva ‘Vorberg‘ 2015– Cantina Terlano
Bisogna dire che la costanza qualitativa di questo vino non è un episodio isolato, ma piuttosto il carattere distintivo della Cantina Terlano (situata sulle colline a ovest di Bolzano, caratterizzate da un terroir vulcanico, sabbioso e ciottoloso) che anche per il resto della gamma come il Terlaner e il Sauvignon Blanc realizza vini di altissima qualità e con uno stile riconoscibile nel tempo.
Ma torniamo al Vorberg 2015: colore giallo paglierino, brillante, con riflessi verdolini, al naso evidenzia subito profumo di agrumi, poi sentori balsamici e di fiori bianchi con un finale intenso di note minerali. All’assaggio si mostra elegante, fine, con note saline e minerali bilanciate da aromi fruttati di pesca bianca e ananas. Un vino dal carattere deciso, ricco di sostanza, complesso e raffinato, che ben si abbina a piatti di pesce anche elaborati.
Fabio Cristaldi
Le mia scelte va su un bianco fermo che mi ha veramente colpito e che per il pranzo di Capodanno potrebbe essere l’ideale, dato che si può abbinare perfino con carni bianche o arrosti.
Il bianco è Il Fiorduva di Marisa Cuomo, Costa di Amalfi DO.C Furore, ottenuto da vitigni non molto conosciuti (40% Ripoli, 30% Fenile e 30% Ginestra), ma che riescono a dare luogo ad un vino a dir poco eccezionale. Se a tutto questo aggiungiamo la grande maestria del prof. Luigi Moio (consulente enologico), abbiamo quasi detto tutto. Non resta che descrivere le sensazioni organolettiche che riesce a trasmettere.
Il bouquet è di personalità e di gran fascino. Sentori fumè, note di uva sultanina e di frutta a polpa bianca. Piacevolissimo in bocca, buona freschezza, bella beva. Lungo e con finale che progredisce.
Antonio Paolini
La voglia di andare a scavare in cantina per vedere cosa mi fosse rimasto della casa, era nata durante l’ultima presentazione fiorentina della Guida di cui mi sono occupato negli ultimi due anni: una presenza in sala generosa, inaspettata e gradita – un onore! – aveva acceso la miccia. Il ‘99, lo sapevo, lo avevo ahimé finito. Ma ho trovato un ‘98. Un po’ spaventato dal grado (quasi 15) e dall’annata calda, ho aperto e atteso. Olive nere con le rughe, chiusura stretta in partenza. Poi via via una lista di sorprese: pesche gialle disidratate, limone candito, sale, acidità in rimonta senza bisogno di volatile, ribes bianco… la mano da lunghe distanze di Franco Barnabei e il timbro di una casa che fa vino a Montalcino da secoli. Se avete un ‘98 è ora di aprirlo. Se avete un’altra annata, va bene lo stesso. Se avete un Ugolaia ‘99, invitatemi. Anyway per il pranzo di Capodanno un Brunello Lisini andrà benissimo
Gianmarco Nulli Gennari
La giovane Stella Viola di Campalto ebbe l’intuizione di valorizzare un pezzo di terra ottenuto per via familiare, il podere San Giuseppe, vicino a Castelnuovo dell’Abate. E nel 1998 avviò la sua avventura vitivinicola, che l’avrebbe portata, nel giro di qualche anno, ai vertici qualitativi del comprensorio, prima con il Rosso, poi col Brunello di Montalcino. Oggi i suoi vini sono considerati tra quelli di riferimento del distretto ilcinese, grazie a un’agricoltura vicina alla sensibilità degli amanti dei cosiddetti vini naturali (da dodici anni in regime biodinamico) e a protocolli di cantina di grande precisione e accuratezza.
Ecco perché, per salutare il 2018, aprirò una bottiglia di Brunello di Montalcino Riserva 2009 di Stella di Campalto. Primo anno della nuova svolta aziendale, visto che il 2009 è uscito solo come Riserva, come da allora avviene per i suoi Brunello. Annata calda ma ben gestita, compensa la minore freschezza con una salinità estrema e affascinante. Il naso è profondo e speziato, con sfumature aromatiche di timo e alloro e un lato minerale che richiama la china; in bocca è finissimo e di grande eleganza, molto gustoso, il finale è lungo e quasi piccante.
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