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Timorato, docile e gentile: il Timorasso di Elisa Semino de La Colombera

È un impegno di stirpe quello di Elisa Semino, solare come il calore che irradia la sua terra d’origine, i Colli Tortonesi, la parte più calda e meno piovosa dell’intero Piemonte, con studi di giurisprudenza abbandonati per dedicarsi a quelli più inerenti di enologia, come allieva di Attilio Scienza. Assieme al papà Piercarlo, coscritto del guru del Timorasso, Walter Massa (entrambi settantenni l’anno venturo del ventisettesimo Giubileo), e a Lorenzo, il fratello minore di Elisa soprannominato “il contadino volante” (l’atleta di casa, ex nazionale di snowboard e ora allenatore della squadra junior in Valle d’Aosta), a partire dal 1980 coltivano in proprio le vigne, quando Piercarlo decide di non conferire più le uve prodotte da oltre quattro decenni nei terreni di famiglia.

La prima etichetta di La Colombera matura a diciotto anni, nel 1998, quale vendemmia dell’anno precedente, due anni dopo avremo il primo loro Timorasso, il Derthona. Nel 2006 esce Il Montino, l’oramai celebre cru aziendale, da una vigna il cui suolo è un succedersi di strati di arenaria e marne in tessiture argillose, e con la giusta altitudine atta a conferire ai vini la mineralità decisa e la finezza che li contraddistingue.

Fin da subito i vini provenienti da questo cru sono riusciti a raccontare ciò che scaturisce dai suoli dei Colli Tortonesi, estremamente difficili per i vitigni a bacca bianca, in particolar modo per il Timorasso, per via dei forti problemi di marciume e la tendenza a botritizzare, conseguenze spiacevoli e colpevoli dello scarso interesse fino al giorno del suo rilancio, avvenuto oltre trentacinque anni fa, grazie al produttore Walter Massa.

Difatti le cifre parlano chiaro: malgrado Elisa sia nota come la Lady del Timorasso (la Queen per la precisione) delle 110 mila bottiglie prodotte all’anno in azienda, circa 65 mila provengono da uve a bacca rossa, vale a dire Croatina, Barbera e il Nibiò una sorta di Dolcetto dal peduncolo rosso, vitigni che da sempre meglio si adattano a queste valli, che si chiamano Curone, Grue, Ossona, Borbera e Sisola.

Non è finita: nel 2016 giunge il secondo cru aziendale per il Timorasso, il SantaCroce grazie ad Elisa che identifica la collina di Santacroce a Sarezzano a 250 metri sul livello del mare, come luogo particolarmente vocato al vitigno. Si tratta di un poggio situato in un’antica cava di calce, ed è proprio in questi terreni bianchi per i carbonati e il calcare, ma tessuti con l’argilla del Tortoniano, che mettono le radici del vigneto di SantaCroce che avrà la sua prima vendemmia nel 2022.

A giudicare dagli assaggi che abbiamo effettuato, è stata una scommessa vinta quella di puntare molto sul Timorasso, vitigno alla cui origine del nome c’è forse quello d’esser docile, gentile, garbato, mite, quindi appunto timido e timorato.

La Colombera è condotta ad agricoltura organica non certificata. In vigna si usano solo verderame e zolfo, non è previsto nessun diserbante, prediligendo la manualità per tutte le attività, dalla potatura alla raccolta. La fermentazione avviene spontaneamente e in cantina è prevista solo l’aggiunta di anidride solforosa prima dell’imbottigliamento.

Ma l’azienda non possiede solo vigneti: ai 30 ettari dedicati alle uve, dislocati a Vho per la metà e il restante tra Sarezzano e Cascina Macchetta, La Colombera ne include altri 50 di ettari destinati principalmente alla coltivazione di ceci e frumento, e circa 5 ettari di frutteti, con ciliegi, albicocchi, prugni e soprattutto peschi. Da quest’ultimi ogni anno si produce un prodotto memorabile: le pesche di Volpedo che una volta sciroppate diventano, credetemi, prelibate, succulente e che hanno deliziato lo scrivente durante gli anni trascorsi in qualità di commerciante al minuto.

Siamo stati testimoni dell’assaggio di cinque Timorasso, provenienti dalle tre etichette aziendali, presso una storica trattoria della Capitale, dove si interpreta alla perfezione la tradizionale e autentica cucina romana da oltre 90 anni. Da poco più di un anno e mezzo la trattoria Settimio al Pellegrino è nelle mani abili di Leonardo Vignoli che l’ha battezzata Da Cesare al Pellegrino, affinché la continuità stilistica e qualitativa potesse proseguire.

photo: Alessandro Viero / Gorunway.com

SantaCroce 2023

La produzione annua si aggira alle 3500 bottiglie.

Il vino vinifica per metà in acciaio e metà in tonneau di acacia.

Lo abbiamo trovato molto fresco e fragrante, con spiccata acidità, e alle cui note di frutto poco maturo si aggiungono quelle di erbe aromatiche, ma soprattutto quelle minerali, di gesso e pietra focaia. Ottimo il sorso, piacevolmente morbido, che incede tuttavia ancora su note sapide e vegetali che ci rammentano il cappero e il cucuncio. Il vino è stato da poco imbottigliato e al momento necessita di affinamento, ma promette di divenire memorabile.

SantaCroce 2022

Si tratta della prima uscita di questo vino a base di Timorasso.

Nettamente più asciutto dell’annata 2023. Vino molto pulito, austero, garbato e affilato. Trama idrocarburica elegante e sorso morbido, seppure lievemente magro.

IL MONTINO 2022

La produzione annua si aggira alle 6000 bottiglie.

Vinificazione e affinamento in acciaio, con dieci mesi sulle fecce.

È un vino che parla di eleganza, e gioca sui toni di idrocarburo e resinosi. Troviamo anche le erbe aromatiche e le attese note minerali. Morbido e confortevole, con buona masticabilità e un finale di liquirizia dolce.

IL MONTINO 2017

Prodotto in una calda annata è un vino maturo e complesso. Troviamo note morbidissime di  miele d’acacia e di sciroppo d’acero. Spesso con toni oleosi quali i semi di lino, sviluppa al termine del sorso delicate percezioni idrocarburiche e minerali. Di grande eleganza e lunghezza.

DERTHONA 2018

È il Timorasso di punta dell’azienda, prodotto in 35 mila bottiglie l’anno.

Vinificazione e affinamento in acciaio, con dieci mesi sulle fecce.

Sorso glicerico di un vino elegante nei suoi toni minerali e gessosi, con richiami morbidi di miele di acacia e di asfodelo, e di zucchero filato e confettura di pesca. Molto piacevole e persistente e con beva assicurata.

 

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Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.

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