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Terlano-Andriano un viaggio tra vicini quasi dirimpettai

Di qua il terreno porfirico che ha reso celebre e illustre Terlano, insieme alle quote (vigneti in media tra 500 e 600 metri, drasticamente parcellizzati e spesso scoscesi) e la luce calda del mezzogiorno e del meriggio; di là le argille venate di tracce calcaree, quote un filo minori (tra i 250 e 380 per lo più) e la luminosità eterea del mattino.

Terlano-Andriano, viaggio tra vicini quasi dirimpettai, un salto e – è la legge della vigna – tutto cambia. Dando, per così dire, già a occhio una sensazione di complementarità, di nozze assortite e felici che poi le indicazioni geologiche e microclimatiche non possono che suffragare.

Ma già quando (era il 2008) a Terlano si pensò e poi decise di inserire Andriano nel “pacchetto” sempre più importante d forze e apporti che la Kellerei intendeva mettere in campo, fin da subito o quasi non si pensò, come pure sarebbe stato abbastanza facile, di aver acquisito una sorta di integratore o di panacea.

Ma, invece, di aver arricchito il gioiellino che si andava sempre più delineando (e sui cui si lavorava e si lavora con cura certosina) con una ulteriore, importante sfaccettatura. A ognuno il suo, insomma.

E se il pacchetto complessivo di varietà non può che in larghissima parta sovrapporsi, come è logico che sia a questa distanza e in un’enclave come già di per sé è la parte alto-collinare e submontana dell’Alto Adige, a ciascuno poi la sua specialità.

Che se per Terlano – dove per carità, tutto vien più che buono – resta però un Pinot Bianco che ne è di diritto il vitigno immagine, ad Andriano (dove pure si fanno un sacco di cose stravalide) a far da cavallo di battaglia è verosimilmente il Sauvignon.
Ed eccolo, allora, l’”Andrius”: benissimo collocato nel quartetto che il direttore di Terlano Klaus Gasser e l’enologo Rudi Kofler hanno proposto e illustrato in streaming – con Eva Ploner a cucire i loro interventi con quelli della platea dei critici collegati – affiancando due rampolli di Andriano, appunto, a due glorie 100% “made in Terlano” come il Primo e il Rarity nuova edizione.

Cantina Terlano – Terlaner I (Primo) Grande Cuvée 2018 (65% Pinot Bianco, 32% Chardonnay e 3% Sauvignon Blanc).

Da vigneti situati a varie altitudini di Pinot Bianco (550 – 600 metri s. l. m.), Chardonnay (350 m s. l. m.) e Sauvignon Blanc (330 m s. l. m.), nasce il vino più importante della Cantina di Terlano, che svolge una fermentazione lenta in grandi botti di rovere, poi la fermentazione malolattica e affinamento per 12 mesi sui lieviti nelle botti di legno tradizionali, prima di andare in bottiglia ed essere messo in commercio.

Il Pinot Bianco la fa da padrone riuscendo a trovare un buon connubio con gli altri due vitigni che lo accompagnano.

Note di agrumi, con arancia e pompelmo in evidenza, si accompagnano a fiori e note di vaniglia e talco, stilisticamente ineccepibile, evidenzia all’assaggio freschezza e dinamicità, con una pungenza che colpisce.

Rispetto alla precedente annata risulta più pronto ma senza snaturare in alcun modo le sue grandi capacità di perdurare nel tempo.

Alto Adige Terlaner Rarity 2008 (85% Pinot Bianco, 10% Chardonnay, 5% Sauvignon Blanc).
Anche quest’anno la cooperativa sfodera un nuovo gioiello prodotto con il famoso “metodo Stocker”, elaborato dallo storico enologo della cantina.

Si tratta di selezionatissime partite di vino lasciate affinare, dopo dodici mesi di botte, per lunghi anni (da dieci a trenta) sui propri lieviti fini in piccoli fusti d’acciaio (i cosiddetti “siluri”), con un sistema simile ai quello dei grandi Champagne millesimati. Attualmente negli archivi sotterranei di Terlano ci sono 16 annate ancora in fase di affinamento con questo metodo, la più vecchia è un Pinot Bianco 1979.
Qui il protagonista è lo storico uvaggio Terlaner, che vede una prevalenza di Pinot Bianco con saldo di Chardonnay e Sauvignon e che ha passato undici anni nei siluri. Imbottigliato il 18 agosto 2020 in soli 3.340 pezzi. Uve raccolte in vigneti a 550-600 metri s.l.m., su suoli leggeri da porfido di quarzo sub-vulcanico con esposizione a sud-ovest, età media 40-50 anni. Resa: 40 quintali/ettaro. Alcool 13,5%.
Naso inizialmente ritroso, ma si apre ben presto su note fruttate (buccia di limone, albicocca, mela e pera), minerali (gesso, terra bagnata, pietra focaia), vegetali (fiori essiccati, camomilla) e speziate (zafferano e pepe bianco). Si fa sentire anche la caratteristica crosta di pane dovuta all’azione dei lieviti. Sorso di grande energia e complessità, elegante e al tempo stesso potente, equilibrato, ricco, avvolge con naturalezza il palato, e si congeda con un finale fresco e salino che sembra non finire mai. Pochi bianchi italiani possono raggiungere questo livello di perfezione.

Cantina di Andriano – Andrian 2019 la selezione di Sauvignon

Proveniente da una produzione di 40 ettolitri/ettaro, fermentato per 6 mesi sui lieviti ed affinato in inox (70%) e in botte grande (30%), al contrario di quanto ti aspetti, stupisce per l’entrata fresca con sentori di agrume (pompelmo giallo), buona sapidità a seguire con sentori a centro bocca di salvia, pesca gialla, pepe bianco. La potenza che troviamo non è solo la stretta conseguenza dei 14% di gradi alcolici, ma trasmette il terroir di pietra calcarea dolomia, donandole una lunghezza che gli permette di gareggiare con il Rarity.

Cantina Andriano – Doran Chardonnay Riserva 2018
Da vigneti a 350 – 450 metri s.l.m. su terreni argillosi di roccia calcarea, nasce questo vino che fermenta in tonneaux, per poi svolgere malolattica e maturazione sui lieviti per 12 mesi sempre in tonneaux, segue assemblaggio e ulteriore affinamento per 3 mesi in acciaio prima di andare in commercio.

La freschezza di cui il vino è dotato non riesce a compensare completamente una morbidezza che appare in alcuni momenti eccessiva.

 

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