Nelle valli e colline umbre tra Assisi e Spoleto, ai fianchi del bellissimo borgo di Trevi, sorge un luogo magico e affascinante, che sa di terra e tradizione, e che sembra aver fatto pace con sé stesso e con il mondo: San Pietro a Pettine.
All’arrivo, complici il tramonto sulla valle e l’antica chiesetta rurale, il raffinato ristorante affacciato sul panorama e l’accoglienza cordiale dei proprietari, questo posto incantato e romantico mi è entrato subito nel cuore.
San Pietro a Pettine è tante cose, non solo il nome di un bel luogo su una mappa, o della chiesetta romanica del XI secolo, impreziosita da bellissimi affreschi religiosi del ‘400 recentemente restaurati, fra cui la figura di San Pietro alla sinistra dell’abside da cui prende il nome. Anche San Francesco amava questi luoghi e la chiesa era la sua prima sosta ristoratrice nei suoi viaggi da Assisi verso Roma.
San Pietro a Pettine è anche il nome di un’azienda agricola che da quattro generazioni vive e fatica in questa valle, per portare avanti una tradizione di famiglia e al tempo stesso salvaguardare un patrimonio storico del territorio: il prelibato e prezioso tartufo umbro, nelle sue diverse espressioni.
Qui il proprietario Carlo Caporicci è nato e cresciuto, e vive tuttora con la sua famiglia. È sempre vissuto tra la cucina e le tartufaie della tenuta, imparando tutti i segreti della lavorazione del pregiato tubero dalle sue nonne cuoche e dai suoi genitori, che nel dopoguerra hanno aperto un laboratorio per la trasformazione del tartufo. Ha sviluppato un rapporto intimo e simbiotico con questi luoghi, un rispetto profondo per la sua terra ed i suoi preziosi prodotti.
Questo amore si respira tutto nella sua tenuta e nel suo ristorante “La Cucina”, dove troviamo come chef la figlia Alice, che è tornata a casa dopo un’esperienza da cuoca a Londra, per aiutare il padre ad aprire questo ristorante e a realizzare il suo sogno di famiglia. Il menu ruota naturalmente intorno ai tartufi che vengono raccolti ogni giorno nelle loro tartufaie, nelle battute di caccia guidate dagli esperti cavatori e i loro fedeli cani.
In base alla stagione qui si possono trovare il tartufo bianco pregiato (da ottobre a dicembre), il tartufo nero pregiato (da fine novembre a metà marzo), il tartufo nero uncinato (da ottobre a gennaio), il bianchetto (da metà gennaio a metà aprile) ed il tartufo nero estivo (da giugno ad agosto).
Anche il tartufo, come la vite, l’ulivo e molti e specie pregiate del nostro territorio, sta risentendo molto del forte caldo e della siccità delle ultime stagioni estive, tanto che in alcuni periodi le raccolte sono più che dimezzate rispetto al passato.
I tartufi raccolti vengono in parte consumati freschi nel ristorante, in parte surgelati interi o trattati in conserve speciali – tra cui la crema di pistacchio e tartufo nero, il tartufo condito, la vellutata al tartufo nero, la vellutata al tartufo bianco, il pesto di funghi e tartufi -, in parte venduti ad altisonanti chef stellati come Niko Romito, Heinz Beck, Giorgio Locatelli e Araki, per essere consumati nei loro famosi ristoranti. Cosa di cui il proprietario va particolarmente orgoglioso, ma solo quando se ne fa un uso corretto e amorevole.
I pezzi più pregiati vengono quindi riservati all’alta ristorazione, ma la volontà dei proprietari è anche quella di rendere facilmente accessibile a tutti questo prodotto speciale, con la possibilità di menù degustazione composti da sette-otto portate con un costo di circa 40 euro, calice di benvenuto incluso, “pane e acqua non si pagano, come è giusto che sia”, come recita il menu della casa!
Veniamo quindi ai piatti che abbiamo potuto assaggiare durante la cena, a base del tartufo disponibile in questa stagione, ovvero il “Tuber aestivum” o tartufo nero estivo, volgarmente conosciuto anche come “scorzone”.
La fortuna ha voluto che potessimo accompagnare i piatti con vari vini provenienti dalla degustazione di Trebbiano Spoletino, che si è tenuta in quei giorni nella vicina Trevi. Il che ha reso più sfiziosa e stimolante la nostra esperienza degustativa, con il tramonto a fare da sfondo e l’ambiente raffinato e familiare della location.
Il pasto è stato aperto con una sfiziosa rivisitazione di vitello tonnato con bollicine di tartufo.
Il piatto è stato ben presentato, bello il contrasto dei colori, le bollicine nere di tartufo richiamano nel colore e nella forma le uova di caviale, anche se ovviamente al gusto sono un’altra cosa. Il vitello è dello spessore e cottura giusti, la salsa tonnata di accompagno richiama quella tradizionale ma è stata alleggerita probabilmente per non sovrastare il sapore delicato delle bollicine di tartufo, così come la spugna alle alghe.
Nell’insieme un buon piatto, anche se il tartufo è sembrato in questo caso principalmente decorativo.
Passiamo alla seconda portata, il “Liberovo” su pappa ai tre pomodori.
Bello anch’esso a vedersi. L’uovo bio è fritto in un leggero strato di panatura, che lo rende piacevolmente croccante e in contrasto con la consistenza liquida del rosso interno e quella molle della pappa al pomodoro. L’uovo è avvolto in un nido di fili di sedano croccanti e saporiti. A completare il piatto delle fettine di tartufo nero estivo.
I sapori in questo secondo antipasto sono sicuramente più profumati e decisi, finalmente assaporiamo il protagonista della serata, il tartufo, che abbinato con l’uovo è un classico sempre azzeccato!
Questo piatto ha riscosso il consenso di tutti i commensali.
Proseguiamo il percorso con un primo: gli strangozzi ai porcini e piselli.
Gli strangozzi sono fatti rigorosamente a mano, come vuole tradizione. Il piatto nell’insieme è molto gustoso, soprattutto per la presenza avvolgente dei porcini che spiccano su tutto e del tartufo estivo che ne completa e impreziosisce il gusto. I piselli freschi, appena scottati e lasciati al dente, donano colore al piatto, ma il loro sapore che rompe il gusto dei funghi non viene apprezzato da tutti.
Un po’ dibattuta anche la consistenza “collosa” del piatto, dovuta all’amido rilasciato dagli strangozzi: sicuramente è la versione acqua e farina, senza le uova, ma qui bisogna calarsi nelle abitudini del luogo e della famiglia per capirli appieno.
È poi la volta del secondo, una tagliata di manzetta prussiana.
Tenerissima e delicatissima, dal sapore leggermente affumicato, che la rende piacevole anche a chi come me non ama particolarmente le carni così crude. Avvolta in foglie di tartufo nero estivo a fette, che la rendono più saporita e prelibata. I nervetti lasciati ai bordi donano un aspetto più rustico al piatto.
Si chiude con il dessert, un gelato di vaniglia su crumble.
Fresco e piacevole il gelato, appoggiato su un letto di salsa al cioccolato e briciole croccanti di crumble. Molto fine la presentazione, ravvivata dal contrasto del fiore giallo adagiato lateralmente sul gelato.
Un menu nel complesso compiuto e di qualità, dai sapori delicati, rispettosi del gusto fine del tartufo estivo e dell’atmosfera pacata e raffinata della location. Una proposta onesta e “inclusiva”, come nelle intenzioni dei proprietari, considerato il prezzo a cui è proposto e la presenza del tartufo.
Per chi come me è appassionato di tartufi, non resta che tornare per provare i menù con i tartufi bianchi e neri più pregiati e saporiti e per scoprire gli abbinamenti proposti.
Sono tornata in questo luogo la mattina seguente e posso confermare che è molto bello e affascinante anche di giorno (inserisco una foto in diurna), ma la sera assume tutto un altro fascino romantico!
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