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Sant’Elpidio a Mare – Agostino Romani: storia di un vignaiolo per passione

Da una parte si vede l’Adriatico, dall’altra svettano i Sibillini.

Tra il blu del mare e i monti Azzurri, a Sant’Elpidio a Mare, Agostino Romani ha deciso di impiantare la sua vigna.

Fino a poco tempo fa era un commercialista, poi ha mollato (quasi) tutto per seguire il suo cuore. E il cuore lo ha ricondotto alla terra, quella della sua famiglia, dove è cresciuto, lungo “lu Fossu de lu Tribbiu”, come lo chiamano qui.

La campagna lo attrae sin da bambino. Sul trattore, per dare una mano, nel tempo libero è sempre salito. Ma la vigna prima non c’era. L’ha messa su lui, nel 2017 e, l’anno successivo, quell’ettaro già aveva dato i suoi frutti.

Il Sangiovese toscano e il Pinot Nero sono stati già vendemmiati. Sui filari, adesso, è rimasto soltanto il Montepulciano: tra un paio di giorni toccherà anche a lui.

La sera, sui due autoctoni scaldati durante il giorno dal sole, soffia sempre un venticello. Il Pinot Nero si trova più a valle.

Agostino ha scelto una posizione diversa, più strategica: deve proteggerlo.

È un vitigno che il caldo non lo sopporta, tanto che tutti gli dicevano che a Sant’Elpidio a Mare con lui ci avrebbe fatto la marmellata. Non è andata così. E ora, per assaggiare le prossime 150 bottiglie, bisognerà attendere almeno la fine dell’anno, quando saranno pronte.
A terra è pieno di grappoli di Montepulciano. Diradamento prima, selezione dell’acino poi sono essenziali: solo così Agostino riesce a portare in fermentazione dei grappoli veramente al top.
La peronospora non attacca, l’oidio si. C’è il mare vicino, è umido. Ma penetrare con rame e zolfo per impedire gli attacchi non è facile quando, come in questo caso, la parete fogliare è tanto fitta. Allora la deve defogliare, a mano. Quest’anno lo ha fatto due volte.
Alcuni degli attrezzi coi quali nell’estate 2016 ha preparato il terreno, mix di sabbia, argilla e limo, sono radunati attorno alla cantina.

Di fronte, di ettari di terra, ce ne sono altri due. Il sogno è di riprenderli in mano quegli attrezzi, per espandere il progetto.
«Stessi vitigni?» domando. «Vediamo… ci sarebbe il Trebbiano che mi affascina. Vorrei puntarci» risponde.
Passeggiamo e, intanto, assaggiamo qualche acino di Montepulciano, a mo’ di prova di vendemmia. La “passeggiata” in vigna, per controllare che tutto sia a posto, Agostino la fa almeno tre volte a settimana. Un ettaro è facile da gestire, alle piante gli sta dietro, le conosce una a una.


I grappoli, a guardarli bene, non sono tutti uguali. In alcuni ci sono acini più grandi di altri. La differenza l’ha fatta l’acqua, dice. Ma c’è dell’altro: «Ho impiantato due cloni di Montepulciano, così pure per il Sangiovese. Di Pinot Nero, invece, tre. Inoltre, ciascun vino cerco di metterlo dentro barrique diverse. Ne ho di varie marche: ognuna ha il suo timbro. Poi, alla fine, faccio tutta una massa» spiega. Dunque, in un certo senso, i suoi monovarietali sono dei blend ottenuti tanto in vigna quanto in affinamento. Tutti e tre trascorrono diciotto mesi in barrique, poi un anno in bottiglia. Fa eccezione il Pinot Nero, in procinto di uscire: i litri non colmavano una barrique, così ha fatto solo acciaio. Quest’anno non accadrà altrettanto. Le uve di Pinot finiranno in legno, sicuramente. Così si potrà fare il confronto.
Gli domando cosa si aspetta dal Pinot. Lo ha raccolto a fine agosto, con una buona acidità. «Di divertirmi. L’ho fatto per una sfida personale. Mi piacciono le cose che non si possono fare» risponde. Un po’ come la vigna, anch’essa è stata una sfida in un certo senso: «Non pensavo mai di farla. Vediamo cosa ne verrà fuori, può darsi nulla di buono. O forse sì».
Vino, Agostino, fino a qualche tempo fa non ne beveva neanche un goccio. Non gli piaceva, lo detestava, la troppa solforosa aggiunta, in alcuni, lo faceva star male. Poi un amico gliene face assaggiare uno. Era buono e non gli diede fastidio. «Affascinato ho cominciato ad avvicinarmi al mondo del vino. Ho fatto il corso da sommelier, ho iniziato a fare degustazioni dappertutto. Adesso, a naso, so riconoscere anche la bottiglia che potrebbe farmi male» dice.

La cultura, insomma, se l’è fatta da sé. Poi c’è Giovanni Basso, l’enologo, che una mano a sistemare le idee gliela dà.
Entriamo in cantina. “Il vino si fa in vigna e non in cantina” è il motto di Agostino.

In bottiglia ce lo ha anche scritto. Quattro serbatoi d’acciaio e odore di anidride carbonica ci accolgono. A controllare la temperatura, durante i sette giorni di fermentazione, è il viticultore.

Sopra c’è un cuscino, la notte dorme qua. Ogni paio d’ore si sveglia e la regola. Ha cinto i serbatoi con dei tubi bucherellati. Dai forellini esce l’acqua che abbassa la temperatura. Un metodo artigianale che funziona.

Intanto è giunta l’ora della follatura. La esegue quattro volte al giorno, oltre a un paio di rimontaggi. Prende il suo attrezzo e si mette a mescolare le vinacce nel mosto, spezzando il “cappello” in superficie.


Di là c’è la barricaia. Sulla porta a vetro è impresso il logo della cantina. Due volti, uno di fronte all’altro.
«Sono del segno dei Gemelli – dice. Poi ci sono molti che mi dicono che posseggo due facce. Così, queste qui, sono le mie due facce» spiega Agostino.

L’immagine è di quelle che mettono alla prova gli emisferi del cervello. C’è chi, a primo impatto, vede le due facce scure. C’è chi, invece, vede a sinistra il viso e a destra un calice bianco.
Per i tre vini prodotti nessun lievito selezionato. «Se lo usassi non verrebbe questo vino qui. Non sarebbe identitario» dice.

E, infatti, usa solo lieviti indigeni.
Di bottiglie ne sono rimaste poche. Ci sono le magnum in bella vista. Leggo i nomi scelti, osservo le etichette. Anch’esse raccontano il contenuto e chi le riempie.

Come “Abalone”, ad esempio. Il guscio del pregiato mollusco ha innumerevoli sfumature. Tante quante quelle di questo Sangiovese: «Sono infinite, indecifrabili, ne escono sempre di nuove» dice. Anche i tasti della chitarra elettrica di Agostino sono di abalone.

Sì, perché il vignaiolo suona anche in due gruppi. Accanto c’è “Profilo”, il Montepulciano: un omaggio ai monti Sibillini, ai loro contorni, ancor più belli al tramonto. “Tempo”, invece, è il tanto discusso Pinot Nero. Il nome è una forma di devozione di Agostino alla vigna, il suo nuovo lavoro: « Nella vita sono stato sempre impaziente. Poi è arrivata lei e mi ha cambiato, insegnandomi la calma» spiega Agostino, che definisce la vigna come un secondo padre. Lo ha educato, gli ha fatto persino conoscere meglio le persone che lo circondano.


Vento” è la novità. A volte soffia, a volte no. Così è questo vino: un anno c’è, quello dopo non si sa. Nel 2019 ci fu, nel 2020 no, quest’anno si.

Se fosse una DOC sarebbe un Rosso Piceno: quando il Montepulciano e il Sangiovese in barrique non entrano più li lascia in acciaio. Uniti danno vita a questa creatura dove l’armonica combinazione dei vitigni spicca incredibilmente.
Stilizzata è disegnata la cantina, la terra che la circonda, il mare e, lassù, in cielo, la luna. Nella piccola sala degustazione c’è un telescopio: qualche sera ad Agostino piace guardarla più da vicino. Diversi sono soltanto i colori. Un’etichetta indossa quello della terra, un’altra quello del sole, un’altra ancora quello del mare. In “Vento”, infine, i colori si mescolano.
Assaggiamo insieme qualcosa. Sorprende il Sangiovese. Nulla da invidiare a un Brunello. In lui Agostino ricercava l’eleganza: l’ha ottenuta. L’amarena spunta forte al naso. Pian piano si apre sempre più, e nuovi profumi saltano fuori. Il Montepulciano avvolge, è robusto, forte, quasi si mastica. Ed è proprio la potenza quella che Agostino voleva che lui evocasse. “Tempo” deve finire di ingentilirsi. Lo degustiamo nel mezzo del suo cammino. A prevalere è la nota vegetale, di erba appena tagliata. La freschezza è la caratteristica che il produttore si aspetta da lui.
Qualcosa mi dice che l’ex commercialista la sua sfida la stia vincendo. E intanto attende paziente, come la sua vigna, appunto, gli sta insegnando.

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Marchigiana, classe 1994. L'infanzia la trascorre in campagna, giocando in mezzo al grano e scorrazzando tra i filari. Dopo la maturità classica si laurea in giurisprudenza. Nel maggio 2021 diventa giornalista pubblicista. Per il vino ha nutrito sempre un profondo affetto, trasformatosi in amore nel 2018. Freelance presso un quotidiano online della provincia di Fermo, di vino scrive per passione sul suo neonato blog e sulla rivista Sommeliers Marche Magazine. Sempre a caccia di storie, di mani sapienti da raccontare, di vitigni da scoprire, di cantine da visitare, sogna che un giorno, tutto questo, possa diventare il suo lavoro.

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