Da una notizia pubblicata sul sito del CNR (https://www.cnr.it/it/news/9786), i Ricercatori del CNR-ISAC hanno sviluppato un metodo per riconoscere il segnale emesso dai chicchi di grandine all’interno delle nubi temporalesche e monitorarne l’evoluzione con elevata risoluzione temporale. Lo studio, condotto in collaborazione con un team di ricerca americano della NOAA e dell’Università del Maryland, permetterà di comprendere meglio la distribuzione della pioggia ghiacciata all’interno dei sistemi temporaleschi intensi, migliorando le attuali conoscenze sui meccanismi di formazione dei nuclei grandinigeni nel contesto dei cambiamenti climatici.
Il metodo proposto (MWCC-H) utilizza l’elevata capacità dei sensori satellitari nelle microonde ad alta frequenza nel riconoscere il segnale emesso dai chicchi di grandine all’interno delle nubi temporalesche. Concettualmente, ci spiega Sante Laviola, Ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR (nonchè autore di Vinodabere), che ha guidato il team internazionale di ricerca, l‘approccio si basa su un modello probabilistico di crescita tipo Verhulst, in cui l’incremento di una popolazione biologica è auto-limitato da una serie di fattori necessari a controllare l’esplosione demografica. Il nostro modello, interpretando la perturbazione indotta dalle nubi temporalesche al campo radiativo naturalmente emesso dalla Terra (campo imperturbato), è in grado di identificare i segnali emessi delle idrometeore ghiacciate ed estrarre la firma spettrale della grandine. Il valore della riduzione del segnale misurato dal satellite tende a distribuirsi secondo una legge di crescita esponenziale all’aumentare della distribuzione dimensionale dei chicchi di grandine. Una crescita incontrollata porta all’esplosione del modello (condizione critica o di saturazione). Nella similitudine con le popolazioni umane, il modello MWCC-H si autoregola attraverso un parametro K (capacità portante) che controlla la crescita della curva fino al raggiungimento delle condizioni di saturazione.
La rilevanza di questo studio risiede nell’aver sviluppato il primo – e al momento unico – metodo generalizzato in grado di funzionare contemporaneamente su tutti i sensori satellitari ad alta frequenza in volo nella costellazione Global Precipitation Measurement (GPM), una missione di ultima generazione della NASA concepita per studiare il ciclo dell’acqua.
Le ricadute applicative dei risultati di questa ricerca di base sono abbastanza ovvie e immediate, ci dice Sante Laviola. L’utilità maggiore di questo metodo è di dare la possibilità, ad oggi senza precedenti, di poter riconoscere e monitorare dallo spazio l’evoluzione dei sistemi grandinigeni con elevata precisione e tempestività. Si veda l’esempio in figura dove la sequenza di grandinate che, il 10 luglio 2019, ha colpito la costa adriatica è stata osservata lungo tutto il suo percorso cominciato al mattino nella laguna veneta e conclusosi in tarda serata in Grecia con la formazione di un piccolo tornado.
Inoltre, non bisogna dimenticare le possibili applicazioni in ambito agricolo, con particolare riferimento al settore vitivinicolo estremamente sensibile ai danni, spesso irreversibili, delle grandinate. Sebbene non si tratti di un metodo previsionale bensì osservativo, l’applicazione di questo studio sia in tempo reale che su dati storici permetterebbe la creazione di una mappa globale delle aree maggiormente colpite dagli eventi più intensi. Questa attività, attualmente in corso nel gruppo di ricerca, ha la duplice valenza di migliorare l’attuale conoscenza sugli effetti del cambiamento climatico sulla formazione della precipitazione solida e di caratterizzare i trend degli eventi più intensi in relazione alle zone colpite.
L’articolo originale è pubblicato sulla rivista Remote Sensing: https://doi.org/10.3390/rs12213553
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