Come già raccontato su questi schermi dal nostro amato Luca Matarazzo (link), l’ultima rassegna di Only Wine Festival, svoltasi lo scorso mese nella caratteristica Città di Castello, ha incuriosito anche questa volta il pubblico dei wine lovers, registrando un’affluenza degna di nota che, vi assicuro, ha reso ben difficile il raggiungimento del mio fine investigativo. Se pensiamo a quando sia costoso e difficile per un produttore emergente della nostra bella penisola essere presente e notato durante questi eventi, pensate a chi invece ha varcato i confini del proprio paese ed è venuto a regalarci qui una cultura di produzione, una filosofia del terroir e spesso una foto gustativa di territori che abbiamo visto solo sui libri. Ed è grazie al confronto con le altre realtà vinicole che si cresce e si impara a comunicare i nostri valori ma più in forma assoluta si impara a guardare il vino come un prodotto dell’uomo, figlio di storie e culture diverse.
E qui, nella piccola sezione extra-nazionale di Città di Castello, spiccano alcune delle etichette selezionate da Luca Martini, sommelier di fama nazionale, all’interno della distribuzione LM Fine Wine Merchant di cui è consulente, figlie della sua ricerca e passione per i vini artigianali.
“Ricerchiamo i prodotti rispecchiando la nostra filosofia di bere bere: territorialità, artigianalità, piccole produzioni, basso contenuto di anidride solforosa e scarsa o nessuna diffusione sul territorio italiano – dice Luca Martini nella presentazione del suo lavoro di selezione. “Il vino nel calice parla e racconta di sé e delle mani che gli hanno dato la vita, noi ci limitiamo a permettergli di farlo”.
E noi siamo qui ad ascoltarli. Anche con lingue diverse.
Markus Scholtes – Neumagen-Dhron, Mosella
Markus, nasce nella culla del Riesling in Mosella e fin da piccolissimo accompagna il padre nella produzione di quei vini che rendono questo territorio quasi fiabesco, che incantano e fanno invidia ai grandi vini bianchi del mondo. È la terza generazione di viticoltori ma nel mondo odierno non bastano le origini per creare un vino che narri il proprio territorio, così Markus si costruisce gli strumenti attraverso un’esperienza a St. Urban – Hof sotto la guida di Niki Weis per poi completare gli studi alla facoltà di viticoltura di enologia di Geisenheim. In seguito ha diretto la cantina del Dr Fisher a Ockfen, anfiteatro elettivo per il Riesling tra il Mosel e il Saar costruito su ardesia devoniana, di proprietà di Martin Foradori Hofstätter. Dal 2016 riprende la direzione della cantina del padre producendo in regime biologico 5 etichette in quantità limitatissime per un totale di 1200 bottiglie. Procedendo all’assaggio dei Qualitätswein mit Prädikat (Vini di qualità con Predicato) presenti, ci facciamo stupire dal perfetto equilibrio tra l’acidità citrina di limone del Kabinett 2017, le sue note dolci di mango e ginestra con quella lieve nota balsamica di erba di montagna che ci riporta verso il suo luogo d’origine. Nessun idrocarburo in gioventù, come nei grandi Riesling del freddo, dove il basso grado alcolico si compensa con un residuo zuccherino piacevole che gioca a nascondino con la spalla acida e il retrogusto sapido delle ardesie devoniane. Gli Spätlese 2017 da 8,9 % e 11,4% presentano tassi alcolici diversi, dimostrando come con la vendemmia tardiva si possa variare con le maturazioni anche nei punti più ripidi, giocando così per strutture ed equilibri. Qui i toni si fanno più larghi e caldi ma senza perdere cipiglio ed eleganza. Le arance tarocche e i frutti tropicali lasciano spazio ad un ventaglio infinito di erbe aromatiche, la struttura si fa più estesa senza mai risultare morbida regalandoci infine una sapidità persistente ed austera. Vini dal carattere tedesco, sicuri e precisi, rari e introvabili ma se li trovate i prezzi sono ancora miracolosamente accessibili.
Julian Haart – Piesport, Mosella
Julian Haart è figlio d’arte, in quanto proviene da una famiglia storica di viticoltori, una piccola Venere di Milo che nasce dalle acque di Piesport, uno dei village più importanti del Middle Mosel tedesco. Nonostante la sua esperienza da chef di alto livello si stabilisce nel paese natale dedicandosi alla sua piccola proprietà vinicola di 2,5 ha nel Grosse Gewächs di Goldtröpfchen ovvero il famoso Gran Cru “goccioline d’oro” (i Grosse Gewächs sono assimilabili ai Gran Cru di Borgogna tra i membri VDP, associazione autoproclamata dei viticoltori di qualità. Il marchio di riferimento GG è riferibile solo ai vini secchi delle varietà nobili prodotti al suo interno, in questo caso i vigneti sono dedicati unicamente al Riesling). I Piesporter Goldtröpfchen Riesling sono tra i più raffinati di tutta la Mosella e vantano un prestigio internazionale di lunga data. Il sito ha una complessa composizione di terreni sopra i suoi 165 acri (67 ha), compresi i terreni rossastri ricchi di ferro, il quarzo scintillante, le argille di pietra e l’ardesia devoniana decomposta grigio-blu. Qui il vino regala una varietà di aromi dal cassis alla pesca e frutti esotici, ed è sempre estremamente ricco al palato. Qui 0,7 ettari prendono il nome di Schubertslay dove il microclima è unico e le piante sono centenarie. Circa 1,3 ettari si trovano invece nel GG de Ohligsberg. Qui le ardesie blu-grigio più dure con strati di quarzite e una grande quantità di rocce e ghiaia danno vini che sono più speziati, filanti ed eleganti. I cru aziendali vengono tutti da appezzamenti a piede franco. Julian segue un lavoro in vigna tradizionale, a mano, senza uso di erbicidi né sostanze chimiche ed in cantina utilizza sia tini di acciaio inox che le tradizionali foudres di rovere vecchio da 1000 litri. Sin dalla prima annata, la 2011, si intuisce lo stile bourguignonne di ricerca dell’eleganza, mantenendo la purezza del frutto ma preservando l’acidità del vitigno per dare dei vini profondi ma ricchi di piacevolezza. Il Piesporter Riesling 2017 ci regala subito un bergamotto maturo, una lieve nota idrocarburica e tanta salvia. Al contrario in bocca è lime fresco ed è estremamente salino. Ci stupisce anche perché non accenna a finire. Ancora più affascinante è il Piesporter Goldtröpfchen Kabinett 2017 dai vigneti a piede franco. Qui gas metano e camomilla secca si fondono ad un lime maturo. Il residuo zuccherino bilancia piacevolmente la struttura acida decisa in un finale di grande intensità. Peccato per la mancanza dei Gran Cru in questa occasione, ma solo l’assaggio di oggi fa venire voglia di partire subito per andare in Mosella!
GVYMARANI – Manavi Village, Kakheti.
L’azienda agricola Gvymarani nasce nel 2013 con l’idea di produrre e riprodurre le tradizioni di vinificazione georgiane che sono state riconosciute Patrimonio Unesco proprio nel 2013. Questo vino è ottenuto dal vitigno autoctono Mtsvane in purezza che dona vini finemente minerali, freschi e agrumati con alcuni caratteri di ananas e pera e aromi floreali, anche se è generalmente assemblato con il Rkatsiteli. Le uve vengono raccolte a settembre per mano delle donne di un villaggio chiamato Tsichevdavi a Manavi. In seguito le uve vengono selezionate e poi interamente pressate e poste a grappolo intero nei Qvevris, tradizionali contenitori di terracotta georgiana di 800 litri, prodotti con un’argilla bruciata e rivestita internamente con grasso o cera d’api. I contenitori vengono poi interrati dopo una lunga macerazione per la fermentazione alcolica che dura fino a Pasqua, permettendo così una lunga ossidazione. Raspi e bucce decadono e in quel momento si può procedere alla svinatura. Il vino, che passa poi in anfore altri 12 mesi, rientra nei RAW WINE ovvero vini biodinamici, naturali non interventisti. Nel 2017 sono stata prodotte 1200 bottiglie. Un vino intrigante dai tratti ossidativi ma anche dolcemente fruttati di albicocca secca, dattero e fico. Seguono profumi di thè e fiori secchi con note balsamiche di origano e rosmarino. In bocca è strutturato e salino con un tannino piacevolmente ammandorlato. Un amber wine deciso ma con un’eleganza ed un equilibrio tutto al femminile.
Clotaire Michal, Saint- Étienne – la –Varenne, Beaujoulais
Clotaire Michal, dopo essere stato a lungo Sommelier a Londra, torna in Francia e si dedica alla vigna e alla cantina producendo Syrah a St. Joseph nella cantina di Thierry Allemand. Dal 2013 si trasferisce nella cantina odierna a sud di Brouilly in 3,5 ettari che lui definisce “il mio diamante grezzo”. In questo punto il granito rosa, le sabbie con tracce di quarzo danno un Gamay più simile a Morgon ma con il tannino elegante di Moulin à Vent. Con i vigneti di 40 anni, coltivati completamente in regime biologico, fermentazioni naturali a grappolo intero e livelli minimi di solforosa, si ottengono vini che esprimono tutta la complessità, purezza e il potenziale di invecchiamento del Beujoulais Village. I protagonisti di questa degustazione sono le etichette La Napoleon dalle vigne più giovani e le Vignes Centenaires dalle vigne di oltre cento anni. La Napoleon 2017 ci regala subito un fruttato di mora e amarena, con note di cioccolato, chiodo di garofano e sottobosco per finire con una lieve nota minerale. Bella freschezza e tannini fini seppur molto giovani. Più elegante la 2016 dove il lampone e il ribes aprono note floreali di rose e violette, con fini speziature di pepe nero e noce moscata. In bocca grande freschezza, tannino avvolgente e un finale fruttato e salino. Le Vigne Centanaires 2017 raccontano di un anno di concentrazione della pasta di more e mirtilli e di un tannino potente senza però disdegnare una spalla acida viva e vivace. Il 2016 è un trionfo di eleganza e succosità e di grande equilibrio con finale sapido e gustoso dalle note aranciate. Clotaire lavora con la natura e questo si vede nella variabilità profondità e leggibilità dei suoi prodotti. Ha stoffa espressiva da vendere. È sicuro che ne sentiremo parlare ancora.
Garay, La Palma del Contado, Andalusia
Mario Garay proviene da un famiglia di viticoltori. Nel 2013 inizia la sua avventura produttiva conferendo uve ad altre aziende. Oggi Bodega Garay consta di 5 ettari coltivati a Zalema. Questa uva, originaria della Contea di Huelva, è la varietà più piantata della zona, di cui Mario è il primo certificato produttore bio. La Zalema dà vini bianchi molto pallidi con bassa acidità, leggeri e fruttati con bassa gradazione alcolica, facilmente ossidabili. I vigneti hanno un’età dai 50 ai 100 anni ad un’altezza di 150 metri s.l.m. su terreni calcareo argillosi mediamente fertili. La conduzione è completamente naturale, dall’inerbimento alle potature e raccolte effettuate a mano. La vendemmia è in piccole cassette da 20 kg dopodiché le uve vengono subito diraspate e pressate in un piccolo torchio di legno. Il mosto fiore viene lasciato in acciao inox e fermenta con lieviti indigeni. Tradizionalmente con la Zalema si producevano vini giovani semplici così Mario ne sperimenta le potenzialità di espressione utilizzando diverse tecnologie. La versione Blue è invecchiata in rovere francese per 6 mesi e presenta caratteri coloranti ossidativi con aromi di drupacee mature e frutti tropicali e una bella nota minerale. Al palato è morbido e setoso ma beverino e con buona acidità. La versione Red sperimenta il rovere americano per 6-9 mesi che gli conferisce note tostate e speziate più complesse, con note dolci di pasticceria alla mandorla e tabacco. Al palato resta più morbido equilibrato e piacevolmente sapido. Il Negro Roto è un versione ossidativa simile al Palo Cortado dove il flor resiste per 12 mesi per poi trascorrere altri 12 mesi sui lieviti in rovere americano in regime ossidativo. Tuttavia risulta piacevolmente fine, agrumato e fresco con un finale leggermente ammandorlato. Infine Mario produce solo 600 bottiglie del Luz, un antico metodo ancestrale dove l’uva viene pressata e fermentata in argilla dove macera sulle bocce per 4 mesi per poi invecchiare in anfore da mille litri. Un vero orange wine con le sue note di agrumi, miele, erbe mediterranee e cardamomo. Bocca salina, minerale con ricordi di albicocche secche e drupacee in confettura. Una nicchia assoluta che non ti aspetti, vini ai confini, sconosciuti anche agli addetti ai lavori ma che aprono le menti ad altri gusti ed espressioni e che costringono a cambiare ordinari strumenti di lettura e valutazione.
In fondo non è questa la storia dell’uomo e del vino come suo testimone culturale?! Tra corsi e ricorsi, l’evoluzione nasce quando ciò che non credevi potesse esistere prima è e si dimostra deterministicamente vero e autentico, fuori dagli assiomi dell’enologia degli ultimi 50 anni. In questo micro viaggio tra vini ai confini dell’interpretazione ho incontrato visioni culturali enologiche dalla storia secolare e realtà gustative che indipendentemente dalla tecnica enologica valorizzano l’espressione e le potenzialità del vitigno e del territorio. Un territorio spesso che si può gustare non solo nel sale ma nella visione umana che lo ha creato. Perché in fondo il terroir c’è ma ci deve essere qualcuno che lo sa vedere, che lo costruisce e lo sviluppa nel tempo.
Aggiornamenti continui sul mondo dell'enogastronomia