In qualche modo si può dire che il Maso sia stata la loro prima creatura, visto che le figlie Alessandra e Maddalena sono arrivate, nell’ordine, più tardi.
Antonio Stelzner e Roberta Giuriati hanno pensato a far nascere la loro “cosa” negli anni ‘80; hanno lavorato sui vigneti tra l’82 e l’86 e hanno debuttato poi nel 1992 con la loro prima etichetta che è stata, guarda caso, uno Chardonnay fermo, esattamente come quello di cui parleremo oggi in modo particolare.
È abbastanza divertente, alla luce di tutto quel che è accaduto poi, ricordare anche che inizialmente tutto era partito con l’idea di vendere uve e che, insieme a quelle via via divenute nodali (e oggi certamente le più importanti, e cioè lo Chardonnay e i tre Pinot (Nero, Bianco e Meunier) tra le varietà di punta ci fosse il raro e allora preziosissimo Moscato Rosa.
Già dopo qualche anno di attività Martis si è però imposta per il suo lavoro nell’ambito più identificativo del territorio: quello del Trento DOC.
Ed è proprio lì che Antonio e Roberta hanno segnato uno stile, un modo di fare che è rimasto marchio indiscusso della ditta. Che ha vigneti a 450 metri di altezza media, e abita ai piedi di un Argentario che non guarda il mare (il Monte Casio che in zona è noto appunto come Argentario, proprio come il promontorio toscano che invece affaccia come si sa su alcune delle località balneari più divertenti della costa).
Qui, su questo terreno premontano, calcareo misto ad argille trentine (e con l’aggiunta recente di 2 ettari ubicati a 800 metri secondo la logica di chi cerca ora di salire per trovare antidoti il più importanti possibili al cambiamento climatico in corso) lavora un sistema di vigneti (14 ettari totali cui si aggiungono uve di conferitori anch’essi dediti alla pratica del biologico che ormai dal 2013 certifica il lavoro di Maso Martis) plafond per la produzione di circa 100 mila bottiglie all’anno.
Antonio e Roberta, che per tutti i fan è Madame Martis, come uno dei suoi vini più importanti declinato in due versioni (la normale tra virgolette, visto che fa nove anni sui lieviti, blend di Chardonnay Pinot Nero e Meunier, e poi una “limited edition” a dosaggio zero con rilascio ancora più tardivo) conducono con mano ferma la… nave coadiuvati ormai dalle figlie, che figurano addirittura come titolari.
Parecchie le etichette prodotte: un extra brut rosé millesimato, un dosaggio zero, un Blanc des Blancs brut millesimato, i due Madame già citati e, ammiccante tributo alla parità di genere, anche un Monsieur Martis brut, millesimato e rosé, cosicché la quota rosa è dedicata in questo caso al “mister” di casa.
Il primo piano però stavolta tocca a una “non bolla” che è anche un tornare alle origini trattandosi di uno Chardonnay fermo proprio come il vino prodotto agli albori. Incanto 2022 è figlio di una procedura e di scelte risolutamente classiche e fatte in assoluto dispregio delle mode, ma con tutta l’attenzione a serbare l’anima profonda non solo del vitigno, ma soprattutto del territorio da cui proviene.
Vinificato a partire dalla fermentazione in barrique, ha di quel tipo di produzione le stimmate migliori, cioè una ricchezza e una suadenza di profumi prodighi di spezia e anche di frutta esotica; che però si combinano perfettamente con l’anima verticale dei luoghi e in generale del concetto di produzione di vino in quota e in Trentino: ecco quindi meno di 12,5° di alcol e una tensione di base che accompagna, sostiene, affusola e spinge il resto del corpo del vino, disegnato comunque e da attendere anche in evoluzione verosimilmente positiva.
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