È tutto vero l’enunciato del titolo, ma prima di parlarne dettagliatamente al termine dell’articolo, il lettore dovrà pazientare poiché un po’ di storia non guasta.
Finalmente giunse l‘Act of excise.
Dopo circa un secolo di tasse e controtasse che ebbero come unico effetto quello di incentivare la clandestinità, l’età dei cosiddetti smugglers, il regolamento del 18 luglio 1823 dimostrò d’aver finalmente compreso, vergando 52 pagine. Le distillerie di whisky scozzese non andavano ulteriormente vessate, ma al contrario agevolate nella fiscalità, poiché i fattori che coltivavano i terreni pagavano la retta ai proprietari molto spesso con quel nettare d’orzo che distillavano.
Costoro creavano whisky, per il proprio piacere o altrui, principalmente col disavanzo del raccolto d’orzo stagionale, ma qualcosa stava per cambiare.
Grande merito dello sblocco della situazione appartiene al generale George Duncan Gordon, quinto Duca di Gordon, che convinse Frederick John Robinson, il Chancellor of the Exchequer del tempo (una sorta di ministro delle finanze con alcune competenze nel tesoro), a promulgare l’atto.
Fine del corto circuito e molte distillerie emersero dall’illecito ufficializzandosi, e altre di nuove ne sorsero. In un paio di anni si passò dalle 125 distillerie autorizzate al numero mai più (finora) eguagliato di 329, mentre le clandestine stimate in 14000 prima dell’atto dopo appena vent’anni si ridussero a 177.
Non tutti presero bene la conversione e qualche produttore dello Speyside, la zona numericamente più ricca di distillerie, fu costretto a portar sempre con sé delle pistole, quando scendeva in paese. La data del 1823 è da molti ritenuta quella di nascita del whisky scozzese moderno, uno spirito che si avvicinava molto a ciò che oggi conosciamo.
Vien da sé che a partire dal 2023 molte distillerie di whisky scozzese di malto, qualora siano ancora in attività, celebrano il loro bicentenario, esattamente come accadrà tra il 2081 e gli otto anni a seguire grazie a un altro momento di intenso sviluppo del settore. Ma non saremo più qui per poterlo raccontare.
Una delle più importanti del mondo, non solo fra quelle scozzesi, per il simbolo che rappresenta, è certamente The Macallan, sorta nel 1824 e che quest’anno festeggia appunto i primi due secoli. Ci troviamo in pieno Speyside, non distante dalle rive del fiume Spey da cui la zona prende il nome, esattamente a metà tra le cittadine di Craigellachie ed Aberlour.
A questo punto è necessario ricordare che il whisky scozzese nasce come prodotto di una singola distilleria (a prescindere che utilizzasse esclusivamente l’orzo maltato), poiché il blended (una miscela proveniente da più distillerie e con vari cereali la cui prima bottiglia risale al 1853) che è largamente il più venduto e noto si avrà massicciamente proprio in quella seconda epoca di sviluppo del whisky, cioè a partire dal 1881 con la nascita dei marchi tuttora in voga (a solo titolo di esempio citiamo nel 1881 il Whyte & Mackay, nel 1882 il Vat 69 e il Black & White, nel 1883 il White Horse, nel 1884 il Teacher’s e J & B, nel 1887 il Famous Grouse ecc.).
Dobbiamo “ringraziare” il blended sia nel bene che nel male. Nel bene perché ha consentito al whisky scozzese di resistere a due guerre mondiali e permesso d’assumere la leadership nei consumi mondiali dei distillati; nel male per aver contribuito alla nascita della distillazione moderna, laddove si produce tanto per produrre, e non per essere un eccesso di una coltivazione agricola di un cereale.
Malgrado il blended scozzese perseveri a dominare la scena a discapito del single malt (rappresenta attorno all’85% del totale del whisky venduto, ma nel 1980 il valore era del 99%), a partire dagli anni ’60 del secolo scorso si sono affacciati nel mercato progressivamente i prodotti da singole distillerie. In precedenza, tranne in pochi casi, era difficile trovare una bottiglia che non fosse frutto di un blending.
Oltretutto creando il whisky al fine d’essere un ingrediente di una miscela, i produttori non avevano una visione del futuro, non preservavano, non gestivano uno storico di botti.
The Macallan è una rara eccezione per entrambe le cose ed è merito di una donna, la manager che operò in distilleria a partire dal 1918, Janet Harbinson detta Nettie, figlia di Roderick Kemp, la quale ebbe uno spirito pioneristico iniziando ad accantonare delle botti.
In realtà Macallan è il suo nome attuale (era quello della zona in cui sorge, Maghellan) poiché quando l’agricoltore Alexander Reid fondò la distilleria nel 1824 gli diede il nome di Elchies, dal nome della celebre dimora (Easter Elchies House)
che ha oltre trecento anni, rappresentata in molte etichette, che mantenne fino al 1891. Nel successivo 1892 la distilleria passò a Roderick Kemp, già addentro all’industria del whisky avendo rilevato dodici anni prima la oramai celebre Talisker. Kemp fu una persona fondamentale per lo sviluppo della Macallan, nome che gli diede, sebbene abbiamo una importante testimonianza che da qualche anno già si usasse chiamarla in tal modo. Difatti nel suo monumentale testo The Whisky Distilleries of the United Kingdom del 1887, frutto di viaggio giornalistico negli anni 1885-1886, Alfred Barnard menziona la distilleria che all’epoca della sua visita era di proprietà di James Stuart, proprio come Macallan, e forse perché era stata acquisita da poco e non aveva ripreso la produzione oppure scarsamente nota, sta di fatto che gli dedica appena sette righe, contro le quattro pagine su Glen Grant e addirittura sei per una distilleria non più produttiva da quasi 90 anni, la Glendarroch (nota anche coi nomi di Glenfyne e Glengilp) che per tre anni (1879-1882) fu gestita proprio da Roderick Kemp e soci.
Grazie a Mr. Kemp nel corso degli anni Macallan acquista sempre più fama, riuscendo non a torto a ritagliarsi il ruolo di whisky di estrema qualità, fino ad arrivare all’attuale status symbol.
Qualche esempio a dimostrazione: le bottiglie di Macallan sono le più ricercate dai collezionisti di tutto il mondo;
una bottiglia di Macallan del 1926 con 60 anni di maturazione, una delle dodici con l’etichetta disegnata a mano dall’artista espressionista bolognese Valerio Adami, proveniente dalla botte numero 263 riempita il 25 febbraio del 1926 che ne ha dato vita a 40, puntualmente aggiorna il record in un’asta (l’ultimo è pari a 2.500.000 di euro ottenuto il 18 novembre 2023 da Sotheby’s) divenendo quella dal più alto valore in assoluto al mondo, per qualunque genere di bottiglia; Macallan è presente in un paio degli ultimi film con James Bond (ma mai nei romanzi di Ian Fleming) in particolar modo nella scena divenuta celebre, del tiro a bersaglio umano in Skyfall, quando un bicchierino contenente del 1962 è rovesciato per terra (alla domanda del villain di turno interpretato da Javier Bardem What do you say to that? Bond risponde To waste a good scotch); Macallan è menzionato da molti scrittori contemporanei come Paul Auster, Jo Nesbø, Irvine Welsh, Ian Rankin, Mordecai Richler che nel suo libro La versione di Barney lo nomina ben 15 volte.
La distilleria è stata rinnovata nel 2018 ed ora è la terza per capacità massima produttiva dell’intera Scozia, con circa 15 milioni di litri l’anno (davanti ha solo Glenlivet e Glenfiddich entrambe con 21 milioni). Appartiene alla Edrington Group, che possiede anche Highland Park e Glenrothes. Dispone di 24 piccoli alambicchi caricati per 3900 litri con lyne arm (il braccio) inclinato ripidamente (steeply in inglese) verso il basso, a consentire maggiore corposità al whisky.
È nota la sua predilezione da sempre per le botti di ex sherry da adoperare durante la maturazione del distillato.
Ulteriori informazioni sulla storia della distilleria e sulle caratteristiche, si trovano nel sito ufficiale:
https://www.themacallan.com/en
Veniamo al dunque: siamo stati testimoni alla celebrazione del bicentenario ufficiale di The Macallan, nella sua versione romana svoltasi presso il cocktail bar Nite Kong, l’elegante costola attigua al Drink Kong di Patrick Pistolesi e soci, grazie all’invito del distributore italiano Velier.
La serata si è svolta passando da assaggi del whisky in purezza o miscelato in un cocktail.
Andrea Brulatti Brand Ambassador italiano di Macallan ci ha narrato il passato, presente e futuro della distilleria, e l’abilissima Alice Musso bartender del locale ha preparato e descritto l’elaborazione dei drink basati nella componente alcolica dal whisky proposto in degustazione.
Prima di esprimere le impressioni sugli assaggi, sentiamo la necessità di una premessa.
Continuare a radicarsi al confronto con ciò che è stato e non è più, basarsi sulla qualità ineguagliabile di un tempo, è profondamente sbagliato e oltretutto ha poco senso. Siamo del parere che nessuna distilleria può vantarsi d’aver mantenuto lo standard qualitativo della sua tradizione, perfino laddove si prosegua con la metodologia produttiva classica, e la ragione è semplice: non è più possibile. Non sfuggono al ragionamento anche le distillerie sorte di recente, di cui qualcuna si è assunta il nome di farm, che svolgono tutto come avveniva nel passato: innanzitutto non siamo in grado di fare un serio e necessario confronto temporale, perché le neonate non hanno storia, e poi bisogna accettare il fatto che le situazioni climatiche sono cambiate, per non parlare di quanto differiscono le varietà d’orzo in uso al momento, e la qualità delle botti dove andrà a soggiornare il distillato nella maturazione. È molto più efficace accettare le attuali regole, parametrarsi con un nuovo tipo di gusto, con il beneficio di non passare per nostalgici né tanto meno da boomer.
Lo affermiamo in questa occasione perché seguitando il gioco comparativo, The Macallan è tra gli scotch whisky che ha più da rimetterci, talmente prelibato era il sapore del suo nettare d’orzo.
Pertanto la nostra arbitraria valutazione non terrà minimamente conto di un confronto col pregresso.
Al contempo vogliamo esprimere una critica alla distilleria su un’altro aspetto: lo spropositato aumento dei prezzi di vendita, è del tutto ingiustificato se non nell’aver individuato un target specifico a cui rivolgersi, che oltretutto non si sa fino a che punto è amante vero del whisky scozzese o viceversa gli necessita per assecondare il desiderio di esclusività e avere l’occasione di sfoggiare in società della merce rara.
Abbiamo iniziato con un aperitivo di benvenuto, un mizuwari utilizzando il Macallan 12 anni, nessuna velleità per un drink che voleva essere quel che era, piacevolmente dissetante.
È giunto poi il Macallan Harmony Collection III edition – Amber Medow 44.2%
Creato in collaborazione con Stella e Mary McCartney (forse questo cognome vi dirà qualcosa), questo no age statement (un whisky senza indicazione di età che ricordiamo non è per nulla obbligatoria), per il nostro palato è un prodotto che ha bisogno di qualche accorgimento migliorativo, atto a mitigare alcune ruvide asperità e pungenza alcolica, dovute all’utilizzo della quercia americana, che gli regala note di lattoni prossime ad aromi di noce di cocco e mandorla amara che non tutti apprezzano. Difatti botti di ex bourbon sono adoperate per la maturazione del whisky assieme alle tradizionali di ex sherry. Analogo problema di coinvolgimento emotivo lo avemmo, esattamente venti anni fa, con l’intera serie dei Fine Oak della Macallan, prodotta da un mix di botti in maniera analoga. Venendo alle note di degustazione si percepiscono dei sentori agrumati (lime) di frutta esotica (ananas), e delle sensazioni cremose di pasticceria e di vaniglia, frutta secca. Finale asciutto con richiami al tè verde ed ammandorlato.
Con questo Macallan Alice Musso ha creato il Mango Mist, un cocktail veramente ben fatto ed equilibrato che prevede l’aggiunta di anidride carbonica, cordiale al mango, sherry e del cocco. Drink fresco e aromatico, con le note di cocco piuttosto percepibili ma mai invasive.
Il piccolo accompagnamento gastronomico è stata una ceviche di ricciola con leche di tigre peruviana.
Si comporta meglio del whisky precedente il Macallan 18 anni sherry oak 43%.
Gli aromi sono all’insegna del colore scuro, pertanto troviamo noce, dattero, uvetta, melassa. Poi dolci natalizi, gingerbread e infine dello zenzero candito. Corpo nella media con buona persistenza, beva sincera con sentori di albicocche secche e datteri. Una lieve presenza alcolica non lo penalizza. Finale misuratamente speziato. In sostanza, pur declinato in maniera moderna, rimane un grande classico.
Scottish Gold è il cocktail che l’ha come ingrediente proposto dal Nite Kong, un twist basato sul Gold Rush creato dall’australiano Sam Ross al Milk & Honey di New York nel 2001 (stesso bartender e locale della nascita del Penicillin), dove la componente alcolica prevista è il bourbon, ed entrambi varianti del classico Old Fashioned. Gli altri ingredienti del drink sono il Kong cordial (una preparazione della casa a base di un succo o estratto e zucchero), cacao bianco e l’Apricot Brandy. La freschezza e l’acidità tendente all’agrumato del cocktail si bilanciano perfettamente con le componenti alcoliche rendendo l’esperienza molto convincente.
Ha accompagnato il drink una tartare di Fassona con mandorle e wasabi che non abbiamo tuttavia assaggiato.
Macallan Rare Cask 2024 edition 43%
Abbiamo faticato a comprendere questo whisky senza indicazione di età e della cui composizione si sa poco oltre che le botti sono rare e sono sì di ex sherry, ma seasoned, non quindi di bodega dove lo sherry permane e completa l’intero processo di maturazione, ma create appositamente, per economizzare, e riempite di un vino di Jerez che vi soggiorna solo alcuni mesi, raramente si arriva ad anni e che, amando moltissimo gli sherry, non vorremmo mai berne. Dipenderà dal relativamente moderno sistema di maturazione se l’agilità di beva e la morbidezza riscontrate non sono supportate da eleganza, fascino, finezza e struttura materica? Forse ma non ne siamo convinti, o perlomeno non crediamo dipenda solo da questo, e se si continua con la lettura dell’articolo se ne comprenderà la ragione. Non mancano nel whisky delle apprezzabili note vanigliate, di uva passa, di dattero, agrumate, di cioccolata fondente e crema di nocciole, con un finale nella media persistenza.
Il cocktail di pertinenza è stato il Rare Date, al cui whisky è stata aggiunta della vaniglia, del dattero e un bitter al pompelmo necessario a bilanciare tanta morbidezza e riuscendo ad armonizzare i vari sapori.
Salmone affumicato coronato da una cialda ai datteri è stata la pietanza in abbinamento.
Pensavamo di aver così terminato il nostro viaggio quando è giunta, grazie a Velier, una inaspettata e piacevolissima sorpresa.
Macallan 25 anni sherry oak 2023 edition 43%
Tenendo a mente il proposito sviscerato nella premessa e accantonata la questione del suo prezzo, è inequivocabilmente di un altro passo rispetto all’antecedente whisky, al punto da definirlo, senza timore, convincente. Eppure si scopre che anch’esso è maturato con seasoned sherry cask, ma è privo delle lacune riscontrate nel Rare Cask (almeno noi non le abbiamo ravvisate), a testimonianza che non esistono regole certe. Con tutta probabilità i cinque lustri di soggiorno hanno agito in maniera positiva, e il problema riscontrato in precedenza era di giovinezza. Difatti qui abbiamo la finezza e l’autorevolezza che un 25 anni di tale nome dovrebbe necessariamente possedere. Sorso spesso e oleoso, ricco, pieno ed elegante, molto insistente. Tra le molteplici note individuate elenchiamo l’albicocca e l’agrume entrambi canditi, l’uva sultanina ma anche tanta altra frutta secca come le mandorle e la noce Macadamia; poi il dattero, la carruba; alcune spezie quali lo zenzero anch’esso candito e la cannella; e non avendo terminato anche del miele e della crema catalana. A sorpresa non è privo di una nota lievemente affumicata non torbata, più della combustione del legno e affatto tannica. Lungo e piacevolmente confortevole è il suo finale, insomma da Macallan.
Prima di lasciarci, il Brand Ambassador italiano di Macallan, Andrea Brulatti, ci ha rivelato l’ultima frontiera della distilleria, uscita per celebrare il bicentenario: Macallan Time:Space. Si tratta di una bottiglia sferica con un buco al centro, più una seconda che ha le dimensioni idonee per riempire e completare l’anello. Circa la prima, con gradazione alcolica di 43,4%, il Master Whisky Maker di Macallan Kirsteen Campbell ha selezionato due botti, una di ex sherry di rovere americano di primo riempimento e la seconda di ex sherry di quercia spagnola di secondo passaggio, entrambe distillate il 1° gennaio 1940, pertanto il whisky che ha una dichiarazione di 84 anni, diventa il più anziano mai imbottigliato.
Circa i suoi precedenti, che vede Macallan largamente protagonista, ne parlammo già due anni fa in questa testata al link che segue:
La Classifica dei quindici whisky più invecchiati del mondo – I NONNI DEL WHISKY
Le parole di una emozionata Kirsteen Campbell sono state le seguenti: “È stato un assoluto privilegio poter tornare indietro nel tempo e selezionare stock degli anni ’40 per onorare e celebrare il nostro 200° anniversario. Un’occasione eccezionalmente rara nella vita di un produttore di whisky e di cui farò tesoro”.
Altra particolarità è che si tratta di un Macallan prodotto con malto torbato, come era pratica comune del tempo, sebbene siamo quasi certi che la permanenza in botte per oltre otto decenni avrà stemperato di netto le percezioni affumicate originarie. La seconda bottiglia che riempie la camera centrale è invece molto giovane, essendo il whisky prodotto nel 2018 anno dell’apertura della distilleria ampliata e con la nuova veste architettonica, quindi ha solo 5 anni e una gradazione alcolica di 54.9%, e proviene da ex botti di sherry con legno di rovere americano. Il set, che simbolicamente vuole rappresentare un viaggio nel tempo che va dal passato al presente di Macallan, è venduto su allocazione e una volta che sarà sul mercato viaggerà almeno sui 200.000 euro. Riferendosi ad un bicentenario non poteva che essere una tiratura limitata di 200 esemplari. Vien da sé che si tratta di un rilascio destinato a collezionisti che difficilmente si azzarderanno ad aprire le bottiglie: annullerebbe d’improvviso il loro valore, e le aspettative potrebbero farli incappare in una delusione. Siamo infatti scettici che la permanenza in botte così prolungata, appunto da record, produca una esperienza memorabile, pronti tuttavia a ricrederci e descriverne il sapore se qualcuno la servisse in mescita, chissà…
Dal prezzo decisamente più abbordabile, soprattutto se confrontata con l’aneddotica bottiglia nonno/nipote a cui si affianca, è il nuovo rilascio ufficiale della distilleria dal nome Macallan Time: Space Mastery, vale a dire attorno ai 1900 euro e con 43.6% di gradazione alcolica. In questo caso la bottiglia (una sola), anch’essa con forma sferica e buco centrale, è un senza indicazione di età, frutto dell’unione di 14 botti fra europee e americane. Di questa release non ci è dato sapere quante bottiglie sono state prodotte.
In conclusione, malgrado a nostro parere ci sia qualcosa da rivedere, abbiamo la ferma certezza d’aver partecipato alla celebrazione di un monumento scozzese che ha reso celebre il single malt whisky prodotto oltre il Vallo d’Adriano, e che seguita a scriverne la storia.
Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.
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