Le narrazioni hanno sempre accompagnato l’uomo, rendono semplici i concetti complessi, veicolando non solo informazioni ma anche valori ed emozioni. Il linguaggio che appartiene più al mythos che al logos riesce a commuovere, ad arrivare diritto al cuore e all’anima delle persone, imprimendo le immagini nella memoria.
Può sembrare strano, ma alcuni vini sanno parlare al cuore ed emozionarti, soprattutto quando a raccontarli è lo stesso produttore, che tra trepidazione, umiltà e soddisfazione, ti svela il suo sogno e il suo progetto.
Non era una visita ufficiale, avevo letto di un nuovo vino, un metodo ancestrale e coglievo l’occasione per salutare Diego Bosoni, un mese e mezzo dopo l’inaugurazione della nuova cantina.
Mi accoglie con cordialità e gentilezza, come è del resto nel suo stile, e mi inizia a descrivere il percorso che lo ha portato a far uscire sotto l’etichetta “Diego Bosoni” due vini particolari, secondo l’idea di utilizzare “ tecniche di vinificazioni antiche e attenzioni contemporanee”.
Mi concentro sul primo, quello che mi ha affascinato, il cui nome sembra proprio essere azzeccato: L’Incantatrice.
Ti cattura al primo sguardo, una bottiglia elegante, dall’etichetta pulita: una sirena, disegno dell’artista Rita Pedullà, i cui colori sono stati sostituiti da rilievi e incisioni monocrome bianche, su rivisitazione del designer fiorentino Andrea Del Sere.
Le uve del territorio dei Colli di Luni, Vermentino, Albarola, Malvasia e qualche grappolo di uva rossa ( vinificato in bianco) entrano nel blend che dà vita a questa bollicina metodo ancestrale.
Dopo la vendemmia i grappoli vengono portati in cantina, dove l’attenzione alla pulizia è davvero maniacale e dopo la pressatura soffice, fermentano in contenitori in acciaio a temperatura controllata. Il processo fermentativo viene arrestato utilizzando il freddo, lasciando un residuo zuccherino adatto al passaggio successivo, al fine di favorire una rifermentazione spontanea del vino una volta in bottiglia. Questo secondo ciclo vitale regala all’Incantatrice una pressione di circa 3 atmosfere e una bollicina delicata e fine.
Si può scegliere di assaggiarla senza mettere in sospensione i lieviti che si sono depositati sul fondo, oppure di capovolgerla, per scoprire ancora più profumi e sapori.
Guardo ipnotizzata il liquido che Diego mi versa nel calice: ha un luminoso colore paglierino e le bollicine fanno capolino sulla superficie, salendo in modo ordinato.
Un vino più passionale che cerebrale: al naso si offrono freschi profumi di acacia, di mela, di pesca bianca e di agrumi che invitano all’assaggio.
La sapidità che lo contraddistingue riporta alla terra d’origine, al mare, come del resto il percorso di Diego è frutto di una crescita identitaria e personale, partito in seno alla storica azienda famigliare, Ca’ Lunae: un mestiere vissuto appassionatamente, che è diventato per lui una ragione di vita.
“Ti chiami Ines, ma adesso il nome che porti è Judith… Forse un uomo in un attimo di confusione e lacrime, o tu stessa Per dare una svolta alla vita E ai segreti, sì, hai scelto Judith Judith sì, sì…” ( L’incantatrice – Paolo Conte 1995)
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