“Essere romani “deve innanzitutto essere motivo di orgoglio per coloro che ci vivono e ci lavorano in questa città e nelle zone limitrofe, soprattutto se pensiamo a quella che è stata la grandezza dell’antica Roma, quando l’ingegneria, l’agricoltura e la socialità, avevano raggiunto livelli inimmaginabili per quei tempi e che oggi difficilmente potrebbero essere eguagliati.
Pensando a questo, il mondo vitivinicolo laziale ha il dovere di scuotersi da quel tepore che lo ha contraddistinto fino ad oggi, per diventare il degno erede di quel passato radioso.
Ma per dare seguito a quello che abbiamo appena detto, occorre che il vino , attraverso la neonata D.O.C. Roma, mostri appieno questo cambiamento, sotto l’aspetto qualitativo e dell’immagine, permettendo nuovamente alla parola “Roma” di divenire il biglietto da visita per ristoranti, strutture commerciali e alberghi, e le etichette dei vini dove fa sfoggio tala parola possono esserne uno dei mezzi.
Dobbiamo constatare, grazie ai tour che il consorzio della Roma DOC ci ha permesso di fare, che la strada è stata finalmente intrapresa, sia dal punto di vista comunicativo, grazie alla collaborazione con gli enti istituzionali del territorio, quali la Camera di Commercio, ma soprattutto attraverso il cambiamento della mentalità dei singoli viticoltori. Coloro che hanno il compito di attuare questa svolta e permettere alla neonata DOC di eccellere nel panorama nazionale e internazionale, sfruttando appieno quel terroir, caratterizzato da antichi vulcani oggi spenti, ma ricchi di oligoelementi tali da dare al vino interessanti caratteristiche sensoriali che fanno da culla alle vigne.
Ma perché tutto ciò avvenga e questa DOC raggiunga l’importanza che gli spetta, non si può fare a meno delle “grandi aziende vinicole” presenti nel territorio che, grazie all’elevato numero di bottiglie prodotte e la fitta rete di distribuzione, possono comunicare un vino in maniera capillare e raggiungere il più elevato numero di persone.
Naturalmente al loro fianco deve esserci sempre il piccolo vignaiolo, che attraverso il lavoro, nelle vigne e in cantina, veda sempre come obiettivo la qualità e spinga i grandi gruppi a seguirlo in questa evoluzione enologica.
Per questo abbiamo deciso di visitare proprio queste ultime realtà e renderci conto di quale sia il lavoro svolto fino ad oggi.
La nostra prima visita parte dalla Cantina Gotto d’oro di Marino, che in questi giorni ha affrontato la perdita del suo presidente, l’ingegnere Luigi Caporicci. La Redazione di Vinodabere si unisce all’unanime cordoglio.
Una cantina molto conosciuta al popolo romano e laziale, soprattutto per la sua bottiglia da 1,5 litri di Marino Doc. Un’azienda ricca di storia, tanto da farci fare un salto negli anni 70 mentre la visitavamo, file di serbatoi in cemento, accoglievano allora come oggi, le uve provenienti dagli oltre 1000 ettari di vigne dei 200 soci conferitori.
Una produzione di ben 7.000.000 di bottiglie annue e una rete di distribuzione capillare nel Lazio, soprattutto nella GDO, la trasformano in un elemento essenziale per il successo o la disfatta della DOC Roma.
Constatiamo che l’azienda si è scissa in 2 linee separate, una legata allo storico nome del Gotto d’Oro che per lo più approvvigiona la GDO, e un’altra con la nuova denominazione di Vinea Domini, destinato esclusivamente al canale HORECA.
Abbiamo avuto modo di assaggiarle entrambe le linee della DOC Roma, sia nella versione bianco che rosso e siamo rimasti particolarmente contenti nel constatare che nella in versione bianco, per entrambe le linee si sia puntato sul solo uso della Malvasia Puntinata, da sempre uno dei vitigni più tipici del Lazio, anche se il disciplinare della denominazione prevede che possano essere aggiunti altri vitigni autoctoni laziali. Tale scelta non poteva risultare più azzeccata, visto che entrambi sono risultati piacevoli all’assaggio, con note sapide ben evidenti, legate alla natura di questi terreni, e una freschezza che ne sostiene la beva alla perfezione. Per quanto riguarda la versione in rosso, che scaturisce da Montepulciano (80%) e Sangiovese (20%), troviamo che il cammino sia ancora all’inizio, i vini sono piacevoli, improntati su freschezza e frutti rossi, ma siamo certi che nel tempo potranno dare molto di più. Aspettiamo con fiducia, siamo solo all’inizio di questo viaggio.
L’altra grande azienda laziale che abbiamo avuto moda di visitare è Cantine San Marco, ubicata appena sotto la cittadina di Vermicino. Nata nel 1972 dalla passione per la viticoltura di Danilo Notarnicola e Pietro Violo, l’enologo della cantina, ha da sempre fatto della “vulcanità” il simbolo dei suoi vini.
La meticolosità di Pietro Violo, ha portato la cantina a dotarsi di un laboratorio di analisi interno, che analizza continuamente le uve e i vini che arrivano in azienda e permette di catalogare ogni aspetto, positivo o negativo che si sia verificato con il passare degli anni, tale da poterlo analizzare nel momento del bisogno. Risulta essere questo un elemento molto importante per la gestione dell’azienda, non si lascia mai nulla al caso e all’occorrenza si è pronti per agire con tempestività e efficacia in vigna e se necessario in cantina.
Anche qui il pensiero ad un passato non troppo lontano è d’obbligo, i grandi silos in vetroresina che accolgono le uve dopo la raccolta, non sono stati ancora completamente sostituiti dall’acciaio, in virtù di una modalità di lavorazione ormai ben assimilata, a cui però si sono affiancate con il passare degli anni la ricerca e l’uso di nuove tecnologie che hanno permesso ai vini di rimanere sempre attuali e piacevoli.
I vini che abbiamo assaggiato rispecchiano appieno la filosofia aziendale, incentrata sulla precisione, così il Doc Roma Bianco [Malvasia Puntinata (60%) Trebbiano verde (25%) e Greco (15%)], risulta essere un vino piacevole, ben sorretto da freschezza e sapidità. Per quanto riguarda la Doc Roma Rosso 2019 assemblaggio di Montepulciano (80%) e Sangiovese (20%), il vino risulta immediato e bevibile allo stesso tempo, improntato su note fruttate a cui si accompagna un tannino senpre presente.
Vogliamo chiudere con lo spumante metodo charmat che risulta essere un’ottima alternativa regionale all’ormai famoso Prosecco, molto equilibrato e spumeggiante, da utilizzare soprattutto come aperitivo.
Ha fondato Vinodabere nel 2014. Laureato in Economia e Commercio specializzazione mercati finanziari, si è dedicato negli ultimi dieci anni anima e corpo al mondo del vino. Vanta diverse esperienze nell'ambito enologico quali la collaborazione con la guida "I vini d'Italia" de l'Espresso (edizioni 2017 e 2018), e la collaborazione con la guida Slow Wine (edizioni 2015 e 2016). Assaggiatore internazionale di caffè ha partecipato a diversi corsi di analisi sensoriale del miele. Aver collaborato nella pasticceria di famiglia per un lunghissimo periodo gli garantisce una notevole professionalità in questo ambito.
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