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La mia standing ovation dell’estate: Merlot 2009 Mlečnik (Vipavska Dolina, Slovenia)

Sono belli e inusuali, quei pochi Merlot riservati e di grande nerbo ma sottotraccia, sussiegosi, quasi scontrosi; così diversi dai Merlot ubiquitari e puntualmente rotondi quando non badiali, sempre suadenti e pingui, cui ci si accosta con disimpegnata fiducia, come a un felino domestico per le fusa e le moine. Il 2009 di Mlečnik è compassato, non fa fusa, né moine. Chiede tempo e compiace chi non ha fretta, quindi è un perfetto vino agostano, da feria più che da fatica, e mette in fuga gli impazienti compiaciuti perché dapprincipio è guardingo ed ha artigli.

La famiglia

La famiglia Mlečnik è impegnata nella vitivinicoltura da oltre 200 anni nell’area collinare della Vipavska Dolina, in Slovenia, dove prima risiedette presso il villaggio di Dornberk, per poi trasferirsi all’inizio del ‘900 a Bukovica, in una storica fattoria del 1658. Il passaggio all’economia collettivistica della Jugoslavia portò alla confisca delle terre di famiglia di cui Valter, tuttora alla guida dell’azienda insieme al figlio Klemen, riuscì a rientrare in possesso nei decenni a venire, un lotto alla volta. I nove ettari di vigneti si collocano a un’altitudine variabile tra i 50 e i 120 metri.

Il vino, destinato inizialmente alla vendita e al consumo nell’osteria familiare e da sempre prodotto senza impiego di concimi chimici, erbicidi e pesticidi in vigna, né di additivi enologici in cantina, iniziò a essere imbottigliato nel 1989. Successivamente, un passaggio importante fu la conoscenza e frequentazione tra Valter e Josko Gravner, del quale il primo condivise e applicò gli orientamenti e le esperienze nella gestione del vigneto e nella vinificazione, volti al rapporto armonico con il contesto naturale. In tal senso, l’appellativo non più divisivo e oramai corrivamente abusato di naturale assume per i Mlečnik una pregnanza che ammette pochi dubbi e obiezioni: denota il fare semplicemente quel che si è sempre fatto, studiando e assecondando la natura del luogo nei suoi caratteri precipui e singolari, nelle relazioni che vi si instaurano e nella convinzione che sussista una connessione profonda e inscindibile tra parti e identità coinvolte in tali relazioni. A margine, la seconda convinzione di Valter è che non esista il vino perfetto, essendo il vino solo parte e la perfezione solo nel tutto, nei suoi modi di perpetuarsi e rinnovarsi, mantenendosi in equilibrio per il suo intero.

I vigneti, posti ad altitudine variabile tra i 50 e i 120 metri su suoli marnosi, hanno filari inerbiti e vedono un’alta densità di ceppi per ettaro (6500-8000), così da mantenere rese limitate e garantire uve di alta qualità. La produzione è di circa 12.000 bottiglie all’anno e tutte le lavorazioni, dalla potatura in più passaggi fino alla vendemmia, sono rigorosamente manuali. Le varietà presenti sono Chardonnay, Ribolla Gialla, Malvasia Istriana, Pinela, Sauvignonasse e Merlot. Il Sauvignonasse annovera un vigneto risalente al 1947, usato anche per le selezioni massali. Le macerazioni hanno durate variabili tra 3 e 7 giorni per i bianchi e tra 10 e 14 per il Merlot. Dopo le fermentazioni, che avvengono spontaneamente con lieviti indigeni e senza controllo delle temperature, i vini affinano per due anni in botti grandi, vengono quindi imbottigliati, riposano infine almeno altri tre anni prima dell’immissione in commercio.

Il vino

Il colore vira appena al granato sull’unghia e conserva nel corpo una bella luminosità di rubino. Il primo approccio è sul frutto rosso e scuro sorprendentemente fresco, piccolo e acidulo: bacche d’altri boschi, nordiche e montane, non immediatamente dolci, anzi pungenti d’acidità, che al sorso sorprendono e rapprendono la bocca dove ci si attenderebbe polpa, dolcezza e soavità d’aromi in prima linea. Lo sviluppo aromatico è lento, quasi timido e declinato su uva fragola, prugna, ribes, cenni di cacao e una nitida, composta nota legnosa che richiama il raspo maturo. Oltre e sotto lo spettro aromatico, il tema dominante è, tuttavia, la terra. L’impronta minerale-organica è presente e profonda, inizialmente insondabile oltre l’impressione ferma e stentorea di tè nero, cortecce e humus. In evoluzione si distende minimamente sulla traccia sottile e tripartita di spezie scure (pepe), rosa damascena, acquavite di prugna. La sosta nel calice concede distensione e aggiunge mora di rovo, rose e ribes più stagliati, liquirizia e le prime, inattese aperture solari di terra calda, arancia rossa, anguria e una sottile speziatura.

Ricordo ancora nettamente il lupesco 2005 e lo sfarzoso 2006, non ho contezza delle due successive annate e temo d’aver perso due importanti aggiornamenti di stato. Ritorno a gustarlo con quest’accigliata 2009, vino da nordici e pazienti che, sotto la scocca d’impassibilità, esige solo il tempo, l’ozio e il sottofondo più giusti per aprirsi a familiarità e confidenze, nonché a purezza del frutto e maturità dei tannini. La mia personale standing ovation estiva va a lui. E alla famiglia Mlečnik.

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È legittimo estrapolare dal discorso delle scienze un'immagine del vino che corrisponda ai miei desideri? Boh. Nato in un'annata problematica del mio vino del cuore, dopo attenta valutazione delle soluzioni per ovviare a questo frustrante retaggio, eureka! Ho avuto tre figli in annate da non meno di quattro stelle.

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