La vacanza con moglie e coppia d’amici trascorsa recentemente in Scozia era semplicemente “a passage in time” e nulla di più.
Volevo tornare nel luogo del “peccato” senza declinare per intero il viaggio allo scotch whisky. Non nascondo che tutto questo entusiasmo turistico di fan e appassionati, per quanto faccia bene alla causa, è a me distante e in parte inviso, poiché ha fatto sì che proliferassero inutili e inopportuni visitors centre che spostano l’attenzione ad aspetti commerciali non inerenti. Così va il mondo.
Il viaggio è stato un modo per allontanarsi, pur stando a stretto contatto, con l’oggetto al quale quotidianamente miro, per poterlo osservare in modo più compiuto e culturalmente integrato, schietto e privo di sovrastrutture.
Vien da sé che è stato impossibile non assaggiare dei whisky, a cominciare da alcuni incontri con italiani di mia conoscenza che mi hanno coinvolto in bevute.
L’unica deroga pensata in Italia, e approfitto dell’occasione per ringraziare nuovamente il distributore italiano Pallini s.p.a. di aver organizzato la visita, era di andare alla Daftmill. L’ho imposto ai miei quasi astemi compagni di viaggio e alla fine anche per loro è stata una esperienza di cui a lungo serberanno il ricordo.
Volevo visitare la Daftmill non tanto per vedere i luoghi di produzione e testare in loco dei whisky, ma per conoscere personalmente colui che li crea e farlo nel contesto lavorativo.
Occorre innanzitutto dire che Daftmill è fra le realtà che più amo, i suoi whisky non mi lasciano mai indifferente, alcuni sono per me pura eccellenza.
La distilleria il visitors centre non ce l’ha, quindi nessuna t-shirt, felpa, cappellino, penna o quant’altro griffato a eccezione del bicchiere rigorosamente Glencairn di cui parlerò più avanti.
No, nessun luogo di accoglienza mercenaria, non può esserci perché la Daftmill è realmente una azienda agricola a conduzione familiare.
Anzi, è l’unica al momento in Scozia a potersi fregiarsi di tale nome senza cadere in contraddizione.
Vediamo il perché.
Il nostro programma prevedeva il trasferimento da Pitlochry a Edinburgh e come tappa intermedia la visita alla distilleria. La strada diretta sarebbe stata di passare per Perth, ma durante il tragitto ci venne voglia di visitare il castello di Glamis e pertanto dovemmo attraversare Dundee, e pazientare del traffico per percorrere il ponte stradale di oltre due chilometri sopra l’acqua del Firth of Tay.
Dall’altra parte, a Newport on Tay, si entra nella regione del Fife.
Non è semplice arrivare in distilleria, dopo aver lasciato la A92 il navigatore ti direziona in una via parallela ma alla fine, grazie alle indicazioni dei vicini, giungiamo a destinazione.
Sono le 14 e Francis Cuthbert non si vede. Suono al campanello di un’abitazione ma nessuna risposta.
Nell’attesa faccio qualche foto agli esterni e noto un campo d’orzo proprio accanto alla distilleria. Mi sdraio a terra per fare un video : è fantastico e non nascondo che mi sarei lanciato fra le spighe come un rocker verso il suo pubblico durante il concerto.
Dopo qualche minuto Francis ci viene incontro per dirci se ne potevamo attendere ancora un paio poiché stava facendo qualcosa al mashtun.
Sapevo che probabilmente avrei disturbato e interrotto una persona intenta al proprio lavoro, ma di certe situazioni ci si rende conto pienamente solo sul momento. Mi sollevava sapere di essere atteso, difatti a Daftmill non ci si può recare per una visita se non giunge una conferma in tal senso.
Tuttavia Francis è stato fin da subito gentilissimo e ha risposto con cortesia a tutte le mie numerose domande. Molte di esse, le più significative, le trascrivo in questa sede. Quando mi reco in una distilleria, faccio tabula rasa delle mie informazioni e chiedo di tutto per aver conferma se i dati in mio possesso corrispondono al reale, o sono falsi o nel frattempo variati.
Iniziamo con il primo scambio di battute avuto con lui : chiarisce immediatamente la persona che ho a fianco e lo spirito col quale mi ero recato in distilleria.
“Amo fortemente i tuoi whisky, ma ancor prima, come se l’assaggio fosse un aspetto marginale e secondario, amo la tua visione”
“Non credo di avere una visione. Produco le cose che mi piacciono.”
Ed è così : come un artista, chi lavora intensamente a un progetto non ha la percezione di cosa stia facendo. È solo lo sguardo esterno a notarlo, sono gli amanti ad accorgersi di come Daftmill è stato un esempio e stimolo, e quanta influenza abbia avuto e continui a dare al movimento di rinascita del whisky scozzese cosiddetto artigianale.
Sono sei generazioni che la famiglia di Francis si prodiga nell’attività agricola, la sua storia è da sempre legata all’attività dei coltivatori d’orzo.
La produzione di Daftmill sopperisce al fabbisogno di altre distillerie, principalmente è inviata alle malterie Simpson a Berwick per il fabbisogno della Edrington Group, ma non solo.
“Troverai una percentuale del mio orzo all’interno del Macallan” mi dirà poi (di varietà Minstrel, un tempo).
Daftmill come azienda gli appartiene dal 1984, ma sarà esattamente dopo 20 anni che Francis decide di destinare parte dell’orzo coltivato alla produzione di whisky costruendo una distilleria.
“La prima distillazione avviene nel 2005, a dicembre”
“Esatto”
“Ho letto che era il 16…”
“Esattamente non ricordo, probabilmente qualche giorno più tardi. Sì, da qualche parte ho letto che qualcuno ha scritto così, ma non faccio caso a queste cose.”
Una persona intenta e concentrata al solo lavoro. Le date sono solo dei dettagli utili ai, purtroppo sempre più frequenti, nerd del whisky.
E d’incanto scatta la sinapsi.
Qualche anno fa ero a cena a Treviso con il produttore di Champagne Pascal Doquet e sua moglie. Lo invito da Whisky & co. a Roma a tenere una degustazione dei suoi prodotti che vendevo e amo. La sua risposta ancora la ricordo : “Non penso di poter venire : devo lavorare”.
Tornando con la mente a Daftmill gli domando se ci lavora da solo.
“Sì. Ogni tanto mi dà una mano mio nipote” (il figlio del fratello Ian, suppongo).
Prima di visitare questa micro distilleria (a fronte di una capacità produttiva leggermente superiore, distillando per pochi mesi difficilmente questa raggiunge i 20.000 litri di alcol prodotti nel corso di un anno, e si pone a pari merito come la più piccola in Scozia) lo porto verso il campo d’orzo che avevo visto all’ingresso per chiedere se è l’unico.
“No, ce ne sono degli altri. Considera che solo il 10% della coltivazione è destinato alla produzione del whisky di Daftmill, il resto viene venduto”.
In effetti delle circa 1000 tonnellate di orzo prodotto, un centinaio sono il fabbisogno della casa. Francis prosegue con paragoni con altre distillerie che si definiscono farm. Non faccio nomi, sono talmente alla luce del sole… Convengo pienamente con lui, del resto, e glielo rivelo, è proprio questa la ragione della mia visita.
Perché il nocciolo del problema consiste in questo: per definirsi farm distillery bisogna innanzitutto essere dei coltivatori agricoli, solo l’eccedenza dell’orzo prodotto è destinata alla distillazione.
“Posso chiederti che varietà è questa che ho di fronte?”.
“Publican“.
“Ma tu ne lavori anche altre. So di Optic e Chariot ad esempio”
“Sì, certo, e sono tante, del resto sono un coltivatore … Semino anche varietà Concerto, Firefoxx, e attualmente molto Laureate“.
Sono veramente interessato alle varietà di orzo, e gli domando se ci sono sostanziali differenze alla fine sui prodotti. Mi risponde che ce ne sono, ma sono anche legate al processo produttivo del whisky che varia a secondo del raccolto. E anche questo declina verso l’artigianale, mettere l’orzo in primo piano.
Scherzo con lui perché so che abbiamo un amore in comune, il whisky Rosebank, a cui Francis si ispira nella sua produzione, ma aggiungo che in verità amo molto anche lo Springbank al punto d’aver tatuato il logo sul petto all’altezza del cuore. Tuttavia, essendo l’unico presente, c’è ancora tanto spazio per il suo. Sorride e mi risponde ammiccante :
“A proposito di Rosebank, fra le varietà di orzo che produco c’è anche il Sassy che è destinato alla Ian McLeod Distillers (la proprietà della Rosebank)”.
Gli domando se è interessato, come qualcuno a cominciato a fare, a sperimentare varietà antiche come il Bere, Chevalier, Marris Otter, e mi risponde affermativamente ma rimarca che il 90% della coltivazione è destinato ad altri, quindi commissionato.
“Sei nelle Lowlands, produrrai in futuro un malto torbato per farne un whisky?”
“Hai detto bene, sono nelle Lowlands, preferisco concentrarmi su questo stile anziché averne cento ma fatti male.”
Come la grande maggioranza delle distillerie scozzesi, Daftmill non possiede i tradizionali floor maltings con l’opera manuale a terra (il processo di maltazione viene effettuato dalla Crisp Malt di Alloa, presso Stirling e arriva già macinato) e gli domando se in futuro possa prevederli. La risposta è che gli piacerebbe ma al momento per lui è più comodo fare nella maniera attuale (insomma, la questione è sempre il fatto che lavora da solo, e che, come era solito dire un amico ristoratore che ora è nel mondo dei giusti: ogni scelta comporta una rinuncia).
Entriamo in distilleria e per prima cosa si scusa con noi per non aver fatto in tempo a pulire a dovere. A me sembra invece tutto piuttosto in ordine e comunque rispondo che non aveva alcuna importanza e che oltretutto sarebbe normale, poiché lo abbiamo interrotto nel suo lavoro e approfitto per ringraziare del tempo dedicato.
Capisco poco dopo quanto ci tenga, e inizio ad amare questa persona nella sua semplicità, quando chiedo se posso scattare una foto dell’unica mashtun da 5000 litri con lui a fianco: prima dello scatto si dà una sistemata e qualche botta ai calzoni per spolverarli.
Il mashing avviene come sempre in tre estrazioni d’acqua con temperatura crescente (64.5 – 77 – 88 °C) e poi via verso la fermentazione. Il lievito adoperato nelle due vasche di fermentazione (washbacks) in acciaio è un Brewing Dry prodotto dalla Lallemand, e al termine questa sorta di birra ha un tenore alcolico pari a 7.5%.
“Quanto dura la fermentazione? Ho letto cifre differenti.”
“Al momento varia in 4 o 5 giorni (più che virtuosa situandosi fra le 96 e 120 ore), ma all’inizio era solo (solo?) tre giorni. Alla fine ho capito che preferivo degli aromi maggiormente fruttati e prolungando la fermentazione ho più esteri”(la componente chimica responsabile di questa categoria di aromi).
I due alambicchi sono di piccole dimensioni, rispettivamente 2500 litri il primo wash still e 1500 litri il secondo spirit still.
E qui, durante la seconda distillazione, che avviene un ulteriore caratterizzazione di Daftmill.
Il taglio del cuore è molto concentrato, inizia a 78% per interrompersi a circa 73%.
“Così alto?” gli domando.
“Sì, mi serve per preservare gli aromi fruttati.”
Alla fine il new make (il frutto della seconda distillazione, ancora non messo in botte per la maturazione) titola 75.5%, un volume alcolometrico piuttosto elevato per un whisky ottenuto con due distillazioni. Ho chiesto a Francis se potevo assaggiarlo. Lui mi ha dissuaso dicendo di lasciar perdere poiché era cattivo. A me non è sembrato malaccio questa bad grappa come l’ha chiamata lui…
La botte sarà però riempita diluendolo fino a 63.5%.
Tutta questa attenzione al fruttato… Come ho potuto immaginare che Francis potesse essere interessato a un whisky torbato?
“Pratichi la distillazione nei momenti di pausa dell’attività agricola, vero? Da quel che so in un paio di mesi in inverno e poi a giugno e luglio in estate.”
“Esatto, è così. Fra poco smettiamo di lavorare in distilleria per dedicarci all’orzo che sarà raccolto a fine agosto”.
“Giusto in tempo per il mio compleanno”, ironizzo.
Anticamente era così in tutte le distillerie, prima dell’avvento della distillazione industriale. La visita si sta trasformando in un passaggio nel tempo.
Fra le pietre ingrigite e annerite dalla muffa dei muri dell’edificio, risaltano due porte di legno dipinte di un verde acceso, sono l’accesso ai magazzini. Warehouses a tre piani le cui botti sono essenzialmente di ex bourbon di primo passaggio. Glielo faccio notare.
“Sì, sono per il 90% di ex bourbon. Il restante è di ex sherry.”
“Quindi né ex Porto e né Madeira…”
“No, nessun’altra tipologia”.
Anche questo è identitario. Alcuna distrazione con finishing in altro genere di botte, e una predilezione per la ex bourbon che è la meno interventista: i caratteri del whisky, cerealoso e fruttato saranno così preservati.
“E queste botti di ex bourbon che provenienza hanno?”
“Heaven Hill innanzitutto, ma anche Wild Turkey, Maker’s Mark, Buffalo Trace“.
Gli faccio presente che la distilleria Kilchoman di Islay rivendica con orgoglio di adottare il trasferimento via nave dagli Stati Uniti di botti sane e non sdogate: costa di più ma si preserva la qualità del legno, e Francis mi dice che lui le acquista in maniera analoga.
Le botti sono così ordinate e belle che non resisto a farmi scattare una foto tra di loro.
L’atmosfera è rilassata, la disponibilità di Francis nel rispondere a ogni genere di domanda è alta, così mi avventuro a farne una, sempre pensata e per una ragione o l’altra mai fatta. Utilizzando principalmente botti provenienti dagli Stati Uniti gli chiedo se cambia qualcosa con una ex bourbon o una ex rye (teoricamente dovrebbero essere distinte, ma in pratica spesso si adopera indifferentemente menzionare ex bourbon per indicare entrambe), e lui mi risponde che rispetto al filling (riempimento) non ha rinvenuto divergenze.
“Invece ho trovato differenze enormi quando riempivo le botti provenienti dalla Maker’s Mark : l’odore di banana riempiva la stanza.” (gli esperti di whiskey americano direbbero che dipende dalla composizione del suo mashbill, con la presenza anche di frumento e per il 16%).
Per molti l’operato di Francis è un punto di riferimento e la distilleria un cult, gli domando se si rende conto della cosa. Replica come mi attendevo facesse, non ha il tempo per pensarci, impegnato come è dal lavoro.
“Non mi sembra di aver mai visto un Daftmill proveniente da un imbottigliatore indipendente…”
“Infatti, mai venduto una botte a un indipendente.”
Nel 2017 Francis stringe un accordo di distribuzione con la Berry Bros. & Rudd di Londra e l’anno successivo il primo imbottigliamento vede la luce. Tramite Berry Bros. & Rudd chi vuole comprare una intera botte può farlo, ma esce comunque con il nome e l’etichetta della distilleria.
“Il Daftmill più giovane esistente ha dodici anni, giusto?”
“Sì, è corretto.”
“Una delle ragioni per cui stimo la tua produzione è che hai fatto questa scelta e non hai avuto la fretta di imbottigliare un whisky con qualche mese in più di ciò che prevede come minimo il regolamento (3 anni), come molte nuove distillerie fanno. Ad ogni modo fra 3 e 12 c’è un bel lasso di tempo. Perché tanta attesa?”
La sua risposta è la stessa che avevo letto in altre interviste : “Perché decido di imbottigliare il whisky quando è pronto”.
No rush direbbero gli anglofoni, è la virtù dell’attesa.
“Bene, a questo punto vuoi assaggiare qualcosa?” mi domanda. Ero appagato anche andando via asciutto. Tuttavia perché non sfruttare il mio amico che avrebbe guidato al posto mio?
Tira fuori sette bottiglie differenti, delle quali due single cask ex sherry, e tranne un paio a 46%, le altre a grado pieno.
Come ho espresso all’inizio, non ero lì principalmente per assaggiare. Scelgo di non condividere le mie impressioni gustative. Sono intime, personali e voglio che rimangano tali. Inoltre non aggiungerebbero altro che la mia opinione. Però una cosa la voglio dire : nella comparazione di quattro prodotti, due single cask a grado pieno ottenuti da due varietà d’orzo differenti, e due limited release a 46% con le medesime due varietà, in entrambi i casi le versioni con il Publican sono quelle che ho preferito.
“So, you like Publican” mi risponde Francis.
Termino confessando al lettore una mia debolezza (una di molte), quella di raccogliere bicchieri da whisky con logo, e pertanto chiedo a Francis di acquistarne uno dei suoi.
“Non voglio denaro, mi devi dire solo quanti ne vuoi”
“Uno, ovviamente.”
Rispetto ogni gusto che Voi abbiate, ma se è vero che il whisky rispecchia le persone che lo producono, quello di Francis sarà per forza sempre eccellente.
Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.
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