Un bocconcino dalla 3 “S” semplice, soffice e sostanzioso che riempie anche solo a lanciargli uno sguardo. La sua voglia di comparire sulle tavole e nelle vetrine di mastri fornai e pasticcerie fa impazzire le stagioni, in quanto avvolge un arco temporale che precorre le festività natalizie (anche un mese prima) fino superare la Pasqua nelle sue varianti vuota e ripiena. La Spincia, che viene denominata così da una miriade di “sweetness lovers”, si presenta come una tipicità dolciaria, sottoposta a rigorosa frittura in grassi animali, di solito maiale (strutto e in particolare la “sugna” che è il tessuto adiposo viscerale), composta da ingredienti poveri (farina, acqua, patate, zucchero, lievito di birra, semi di anice e scorza di limone, integrando un po’ di succo d’arancia o in alternativa lo storico vino Marsala) ma è impareggiabile per tenerezza e delizia. La Spincia ha bisogno di un intervallo di riposo per la lievitazione. Una volta fritta con olio bollente in padella ed acquisito un colore dorato, si guarnisce con zucchero a velo o cannella. Ha la capacità di non diventare mai croccante per il fatto di essere e sapersi mantenere nella sua consistenza come una “Spugna” (dal significato latino “spongia” e dall’arabo “isfanǧ”).
Il suo tratto distintivo nella terra dei più bei tramonti siciliani
La Sicilia può decantare una rassegna estiva, rivolta a questo dessert (Spincia Fest) e organizzata nel trapanese (esattamente a Custonaci da circa 25 anni) che attira, ad ogni edizione, una raffica singolare di frequentatori e consumatori. Ma, anche in altre località vicine, la tradizione di prepararlo è piuttosto accesa e vivace, vedi Buseto Palizzolo (dove ad essere celebrate sono anche le famosissime Busiate, data la vantaggiosa produzione di Grani Antichi Siciliani), Erice, Paceco e Valderice (altri piatti caratteristici Pane Cunzato e Cassetelle farcite di ricotta).
Il vocabolo “Spincia” dalla pronuncia in zona agro – ericina e custonacese viene tradotto in siciliano “Sfincia”. La sua realizzazione in quest’area è documentata già prima dell’Immacolata. Quando si pensa alla Sfincia dunque l’immaginario collettivo deve orientarsi su una pasta morbida che viene fritta con la forma di pugno chiuso quindi imperfetto, avendo cura di lasciare integra la morbidezza e l’elasticità, da servire pure con il miele sopra.
Per una sessantina di Sfince o Spince si usano questi componenti: mezzo chilo di Farina di Semola, 250 grammi di patate lesse, 6 grammi di semi di anice, scorzette di una arancia, 15 grammi di lievito di birra (più grezzo) o si sostituisce con lievito per dolci (aromatizzato con vanillina), 250 centilitri di latte intero. La miscela viene impastata con le mani e si fa riposare in frigo un paio d’ore, poi un’altra mezz’ora fuori dal frigo. Si realizzano le forme a ciambella (25-30 grammi ciascuna) con il buco e si friggono nell’olio di semi e senza strutto e si ripassano nello zucchero e nella cannella mentre, per esempio, a Messina la forma è senza buco (tipo zeppola) e senza patate ma con l’uvetta all’interno e lo zucchero a copertura.
Altro dolce tradizionale per questo periodo nel Trapanese è lo Sfincione di San Giuseppe, che viene fatto durante tutto l’anno e viene richiesto dalle ore 8 del mattino a colazione. Ha un impasto più particolare: la base farina, l’acqua sostituisce il latte della Spincia, ancora burro, sale e bicarbonato che sostituisce il lievito della Spincia. Ci sono due scuole di pensiero: si può friggere o nell’olio di semi o nello strutto sempre esclusivamente nel Trapanese. Il segreto è friggere a fuoco moderato a 130 gradi (in pasticceria si impiega una bacchetta di legno che termina a quadrato). Lo Sfincione si riempie di ricotta di pecora e si guarnisce con pezzetti di cioccolato e canditi.
Ricetta messinese della “Spincia”, anzi ideata a “La Bottega Reale” dalla chef Isabella Catalano
Una peculiare interpretazione messinese viene formulata e confezionata a “La Bottega Reale di Giuseppe Cianciolo”, la cui pastry chef è Isabella Catalano, vincitrice di tanti riconoscimenti per la sua Pasta Reale e il suo panettone, che si trova nel cuore dei Nebrodi a Tortorici. La sua varietà di “Spincia” parte da un amalgama di farina e acqua che viene passato in padella con olio Evo, successivamente considerando con attenzione il dosaggio “su un chilo di farina e un litro d’acqua – spiega l’artista della Pasta Reale – all’impasto si aggiungono ben 40 uova, da cui si ottengono 60 Spinci o Sfinci”. L’apporto di uova intere è fondamentale in questa prelibatezza mentre non occorre fare lievitare l’impasto, per cui si evita l’uso del lievito di birra – lo raccomanda la madame chef. Senza dover pensare per un istante ai livelli di colesterolo, questa ricetta è “disarmonica” rispetto a tutte le altre incontrate fino ad oggi ed è per questo che la riportiamo come espressione di un gusto che può differenziarsi ed emergere dalle tradizioni pasticcere di altri paesi o borghi, seppure distanti pochi chilometri. Il boom di dolci carnascialeschi in questo periodo fa sì che la lancetta della produzione pasticcera e di alimenti da forno si sposti su Chiacchiere e Pignolata (anche se quest’ultima più tipicamente su Messina città). Ma la Spincia resta una squisitezza richiesta fino a dopo la fase pasquale, per quanto riguarda il negozio “La bottega reale”, magari “imbottita” di ricotta. La specialista di questa leccornia puntualizza che lei anche per la festa di San Giuseppe prepara esclusivamente questo dolce e mai le Sfince di Riso. La Spincia tradizionale nella ricetta della chef Catalano viene mescolata allo strutto che sostituisce il burro e viene poi fritta in olio bifrazionato a 80 gradi. Quella vuota o riempita di crema tipo chantilly alla vaniglia viene ricoperta di miele, zucchero a velo e/o cannella e la scorzetta di arancia candita mentre c’è l’adattamento alla ricotta, su cui si possono cospargere i pezzetti di nocciola locale o pistacchio o cioccolato e gli agrumi canditi.
La nascita del dolce – frittella che ispira una sagra e compie un balzello dall’aristocrazia
Per la sua marcatura sfiziosa, la “Spincia dolce” può essere degustata tutto l‘anno e trova una sua collocazione storica come anche la “Sfincia di riso”. Questo dolce è rintracciabile con investiture variegate anche nei testi religiosi più letti al mondo quali la Bibbia e il Corano. Per di più, è inserito nel novero di 2.500 piatti tradizionali dell’Iran perché è un cibo in continuità con un genere di pane – dolce arabo o persiano, chiaramente fritto nell’olio. Risentendo di influenze persiane, che hanno inciso anche sugli stili gastronomici per esempio greco, centroasiatico, russo e indiano, la derivazione più diretta di questa frittella è dal monastero delle Stimmate a Palermo, dove le suore si cimentavano in cucina, trasferendo la ricetta ai pasticcieri del territorio. Questi hanno poi onorato San Giuseppe come Santo degli Umili, che rispecchia la genuinità delle materie prime utilizzate per la Spincia. L’arricchimento di questa specialità con crema di ricotta di pecora, granella di pistacchio o scaglie di cioccolato e canditi all’arancia è stata una naturale conseguenza della bravura e dell’esperienza dei professionisti del mestiere dolciario nel capoluogo siciliano.
Tornando all’afferenza persiana, scopriamo che anche le Spince di riso risultano per l’eccentricità da quelle vivande tipiche iraniane, dove la commistione di riso e carne ma anche di verdure e frutta secca sussistono e fanno da padrone. L’utilizzo di erbe e spezie in questa cucina avviene in maniera assidua, in compagnia di albicocche, prugne, susine, mele cotogne, fino all’uva sultanina come anche cardamomo, zafferano e lime essiccato e, ancora, cannella e curcuma.
Come curiosità, il testo più antico in materia gastronomica in lingua persiana che si può classificare come “l’highlander delle specialità tradizionali persiane” è il “Manuale di cucina e della sua arte”. La sua stesura risale al 1521 e pare sia stata dedicato o commissionato da un mecenate aristocratico alla fine del regno di Ismail I.
Focus su Sfince di San Giuseppe o Crispelle o Crispeddi
Le Sfince dolci affrontano perciò un progresso, una virata che conduce al salato custodendo il range zuccheroso. A questo punto, vengono definite Crispelle di riso, storpiate in Crispeddi (dal gergo siculo) ma diffuse anche con il nome di Zeppole di San Giuseppe, in quanto preparate in occasione della ricorrenza di San Giuseppe. Questa data che cade il 19 marzo, nonché Festa del Papà, viene omaggiata con particolare afflato nella città di Catania, distribuendo nei vari punti vendita (dalla pasticceria al panificio alla friggitoria) questo prodotto che si lega ad un’altra ricetta, nata nel monastero benedettino.
Anche in questo caso, la realizzazione vale per l’intero anno ed è stata coniata in altre province siciliane, attingendo agli ingredienti del comprensorio di provenienza. Nelle Sfinci di riso messinesi, si usa lo zucchero a velo per decorare, anziché il miele indicato a Catania.
Per la procedura, il latte viene portato ad ebollizione, preferibilmente con la stecca di cannella ed il sale. Quindi, il riso viene lessato a fuoco dolce per ricavarne un composto denso. La stecca di cannella viene rimossa e il riso viene sistemato in una ciotola per renderlo più tiepido. Il passaggio che segue è l’aggiunta di farina, zucchero, vaniglia, cannella in polvere, scorza degli agrumi e lievito.
Mi immergo ed entro in sintonia da Giornalista nelle storie di cibo, vino, birra, beverage, di campi di grano così come di uliveti e di prodotti agroalimentari e poi le racconto con i loro creatori e i loro territori, fornendo la curiosità e il fascino che meritano. E questo lo faccio con la predisposizione della notizia di chi è cronista del settore “bianca” (e di politica) da un ventennio ma anche conduttrice televisiva, di telegiornale e di trasmissioni TV e di rassegne artistico – culturali, enogastronomiche (anche itineranti con interviste, talk-show e promozione turistica). Degusto vino da sommelier ma lo degustavo ancora prima per passione. Organizzo eventi e mi occupo di uffici stampa e pubbliche relazioni in maniera trasversale dal sociale allo spettacolo, dalle grosse segreterie politiche a quelle sindacali, passando persino per lo sport. Sono convinta che ogni giornata bella o brutta debba concludersi con un vino superlativo nel calice adatto (MAI quello sbagliato!) che ti può fare svoltare la nottata. La libertà è anche questo e alla libertà non si rinuncia MAI, soprattutto a quella di esprimere e scrivere qualunque cosa con competenza.
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