Per gli appassionati di Champagne le maison si dividono, alla grossa, in due categorie: quelle ecumeniche, che bilanciano senza inclinazioni particolari (salvo che in edizioni e bottiglie dichiaratamente dedicate) i due vitigni colonna, e aggiungono poi magari in proporzioni variabili Pinot Meunier; e quelle che, invece, hanno fatto da tempo la loro scelta, eleggendo a bandiera uno dei due, o lo Chardonnay, o il Pinot Noir.
Bollinger è, a tutta prova, nella seconda schiera. L’uva più scura tra le due (e più complicata al mondo) è il suo vessillo, la sua pietra angolare, così come il principio correlato dell’utilizzo del legno (attenzione: ampiamente usato).
Finora, però, l’unica etichetta monovitigno prodotta dalla casa è stata la esclusivissima Vielles Vignes Françaises, bottiglia per pochissimi, dalla circuitazione davvero limitata.
Cellar master Gilles Descôtes
Ecco allora l’idea di una seconda opzione “tutto Pinot”. Ma costruita in modo diverso, e più abbordabile quanto a collocazione di mercato.
Pensata a lungo, coccolata un bel po’, e poi finalmente sdoganata, la nuova creatura non è un millesimato, poggia però su una annata base (la prima scelta è il 2015) ed è soprattutto cantore privilegiato di una zona.
Le uve prescelte, comprese quelle del vino di riserva (in questo caso il cuore è 2009) utilizzato nella cuvée proverranno cioè in prevalenza da uno dei village di cui i fan conoscono alla perfezione litania e ubicazione; e che sarà scelto, appunto, a rotazione e in base alle caratteristiche della vendemmia, optando tra i vari mosaici possibili, dal ristrettissimo team di degustatori ed enologi che lo chef de cave ha coinvolto in questa responsabilità.
Per la prima uscita la scelta è caduta su Verzenay.
Le vigne di Verzenay
Ed ecco allora la costruzione dell’etichetta, che testimonia nell’icastica formula PN VZ15 (una sorta di targa che, come detto, cambierà ad ogni futura edizione) le cose principali da sapere. Che, cioè, il nuovo Bollinger è 100% Pinot Nero, per oltre metà targato appunto Verzenay (inclusi i vini di riserva, affinati in magnum per poco meno di dieci anni) ed è imperniato sul millesimo 2015.
Divertentissimo il modo in cui la nuova creatura – ampia, solida, vinosa al punto giusto, con accenti fumé controllati ma presenti e un mélange assortito di toni fruttati che va dalla piccola ciliegia alla pera matura e all’albicocca – è stata presentata, proponendo in degustazione un vino base nato e vissuto in acciaio, un altro dello stesso millesimo fermentato in barrique e uno dei “vin de réserve” di vita ormai decennale, serbato in magnum e protetto da una lieve, parziale presa di spuma.
Una sorta di destrutturazione del mosaico nelle sue piastrelle fondanti, o se preferite uno spettrometro olfattivo/gustativo che permette di analizzare una per una le componenti decisive di questa e delle prossime cuvée PN. Per le quali, ad oggi, c’è una sola certezza, oltre a quella del logico progresso d’annata: che la “targa” VZ sarà sostituita (decisione già presa, e prossimo vino già in trepida attesa in cave) da quella di un altro dei grandi luoghi da Pinot.
Ai bookmakers, o a chi – e saranno molti di sicuro – amerà questo prototipo, il compito di far le quote e puntare sulla uscita ventura. Tra Bouzy e Ay, ad esempio…