Vibrante, slanciato e speziato, è figlio d’un millesimo
sottovalutato in partenza ma poi riabilitato sul campo
Bando alle ciance e largo ai fatti. Ovviamente, fatti contenuti in bottiglia. Traduzione: se uno si chiama R.D. cioè “recentemente degorgiato” come meglio dimostrare la congruità di nome e pratica che sottoponendo all’assaggio (cieco, cioè privo di indicazioni di sorta) un vecchio, glorioso pezzo della profonda enothèque della casa in due versioni, una sboccata, appunto, di fresco e l’altra un bel pezzetto prima, a sciorinare differenze talmente abissali da parere due vini diversi e alternativi?
Ecco allora il postino recapitare a scopo test un doppio (ma questo si saprà solo ad assaggio fatto) 1976: uno sboccato però sei anni prima dell’altro,con rispettivamente 37 e 43 anni trascorsi sui lieviti a partire dalla rifermentazione dei vini base in bottiglia (ed entrambi serbati con tappo sughero staffato, come è regola della casa). Quale casa? Dovreste – se siete aficionados del mondo Champagne – già aver individuato da un pezzo il soggetto. In ogni caso: le due bottiglie, la prima ancora fresca, tesa, in calo rimarcabile di CO2 (un paio di atmosfere perse per strada nei decenni d’attesa) ma decisamente in sé e in spinta; la seconda larga, intensa, persino più ammaliante al primo approccio al naso, ma poi decisamente virata, specie al palato, su toni ossidativi (non spenti, ma amplissimamente più maturi) fungono da damigelle d’onore della nuova creatura appena rilasciata dalla maison (Bollinger, ovviamente) che nel ’67 (dopo il varo limitato di un “unofficial” 1947 riservato solo al mercato americano e usato come ballon d’essai) debuttò per merito dell’intuizione dell’ennesima regina di Champagne, m.me Bollinger, con il suo primo R.D.: sboccato appunto “da poco”, ma dopo una quindicina d’anni di affinamento in casa, con tappo di sughero, come detto, e dosaggio Extra Brut: appena 3 grammi. I tre must – tuti anticipatori – che hanno poi da allora contrassegnato il lavoro fin qui compiuto.
Il 2007, che ammicca tra l’altro con le sue ultime tre cifre alla liason lunga e fruttuosa con il mondo di James Bond, di cui R.D. è stato uno degli Champagne favoriti (non il solo: Ian Fleming, il creatore della spia con licenza di uccidere era un conoscitore non volubile, ma certo curioso e non impermeabile ai cambi) è peraltro un rilascio quasi a sorpresa.
Segue il 2004, ultimo a precederlo, e arriva dopo la rinuncia al 2006 (scelta normale) e anche al 2005, annata peraltro davvero niente male (da Bollinger è imbottigliata come Grande Année), godibilissima, ampia, ma troppo “pronta” e piena da subito, nella valutazione dello chef de cave e del suo staff, per affrontare il lungo percorso che porta al varo come R.D.
La 2007 a sua volta non era, inizialmente, quotatissima. Ma quello che dapprima suscitava dubbi (la vendemmia anticipata, la stagione non sorridente, il suo skill decisamente meno muscolare, longilineo pur se non sguarnito) alla fine si è rivelato un plus. Ed caratterizza un R.D. che devia un po’ dalla linea di struttura significativa, imponente e solida che è marchio di fabbrica della tipologia, ma ne rappresenta un convincente esemplare unico.
Figlio di vigne certificate per pratiche altamente rispettose dell’ecosistema, no SO2 aggiunta in fase di sboccatura, fermentato in barrique e tonneau “neutri” (40 anni di età minimo), lavorato in ogni processo tutto e solo a mano secondo la storica propensione della casa, il 2007 è figlio di 14 apporti parcellari, per la stragran parte (91%) in Grand Cru, con il Pinot Nero (70% del blend contro 30% di Chardonnay) di Verzenay, più fresco e slanciato, a prevalere per una volta su quello di Ay, solitamente preferito per il mosaico di R.D.
Il vino ha colore pieno e luminoso, spuma delicata e approccio incisivo e singolare al naso, che sulla nota cremosa e fruttata d’abbrivio innesta subito una panoplia speziata francamente notevole per punte e variegato assortimento. Il finale (confermato in bocca, lunga e dalla tensione davvero vibrante, quasi fino a spiazzare) ha anche sfumature di susina e mandorla fresca.
Un 2007, in conclusione, quasi fuori scala, ma perfettamente a suo agio, sia come calice edonistico che in impiego gastronomico. Anche con partner impegnativi. La casa (per capirci) consiglia piatti “anche” di cucina etnica e – opzione specialmente raccomandata – profumati di zafferano e non privi di grassezza.
Per il fan italiano che scelga orgogliosamente di maritarlo alla “nostra” tradizione non resta, insomma, che procurarsi il doveroso midollo di bue, un burro all’altezza, e scegliere il riso…
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