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Amalia: arte, accoglienza, Barolo e… sorprese in bianco

Una Cascina a guida familiare con struttura ricettiva annessa,
cru in Monforte e in Bussia e la riscoperta del Rossese Bianco

L’accoglienza tornerà, calda e piena, appena la morsa dell’emergenza si allenterà al punto giusto. Sarà quello il momento in cui Amalia, la Cascina da vino e da ospitalità – condita d’arte, in casa c’è una mostra permanente di pittori piemontesi contemporanei di valore – e ubicata sui nobili contrafforti monfortini si riapproprierà appieno di identità e funzioni.

Ma intanto il lavoro prosegue. Conduzione familiare, insediamento relativamente recente (diventa maggiorenne quest’anno, compiendo i diciotto di vita), l’azienda ha concentrato più che mai l’attività sul fronte vino.

I vigneti (il cru da Barolo Le Coste, gioiellino da appena un ettaro 100% Monforte, 2 altri ettari circa dentro la Bussia, altri annessi dedicati a Nebbiolo, Dolcetto e Barbera, più il pezzo raro del Salicetti, dove il Rossese Bianco, recupero da antiche pratiche un tempo diffuse e oggi semiscomparse in zona, ha trovato una sua location protetta) e la cantina, con il rilascio delle nuove annate.
Tre in particolare, in una produzione assortita in una xxxx di referenze, i colpi che vanno dritti a bersaglio: l’interessantissimo, inusuale, Bianco 2018 (a base appunto del ripescato Rossese Bianco) e i due Barolo di diversa eccellenza: il Le Coste e il Bussia, accomunati dalla gloria di una vendemmia, la 2016, che in parecchi – ma chi scrive non lo farà mai, neanche sotto tortura, trovando l’espressione abusata e semanticamente impropria – hanno voluto decorare con l’appellativo “del secolo”, e che comunque, esondazioni linguistiche a parte, ha di certo in nuce tutti i crismi dell’eccellenza.
Ecco, in dettaglio, come sono usciti dall’assaggio.

Langhe Rossese Bianco Doc 2018
Presente e ben rubricata in antichi manuali, sicuramente salda tra le varietà di zona nel cuore dell’Ottocento, poi via via sacrificata a favore delle rosse vincenti, è un’uva dalle caratteristiche sicuramente peculiari. Qui da Amalia ne bilanciano la fase fermentativa al 50 e 50 tra legno (barrique, affrontate con la stamina indispensabile e senza perdita di identità) e acciaio, per conservarne anche tutti gli aspetti di freschezza, facendo batonage per tenere in lieviti in sospensione. L’assemblaggio e la sosta di amalgama e affinamento in vetro preludono a un vino fuori scala, intrigante per salinità e scorrevolezza del sorso, ma poi spiazzante per la presa (una sorta di grip da fuoristrada) su palato e papille. Un vino bifronte insomma, che debutta apparentemente facile e vira poi netto verso una complessità che non disdegna evoluzione.

Barolo Le Coste di Monforte Docg 2016
Date le premesse (location e millesimo) non ci si aspettava certo qualcosa di men che buono. Ma il Le Coste va largamentee brillantemente oltre il garantito. Serio e flessibile, delizioso al naso (fiori e frutta delicata con finissimi accenni speziati), conquista in bocca per equilibrio senza smancerie o cedimenti, per la testura straordinariamente centrata dei tannini, per la tensione che comunque ne tiene dritta la barra e lo fa veleggiare verso un futuro lungo e luminoso. Una piccola gemma. La scelta dei legni grandi in cui la cantina ha deciso di elevarlo è, nel suo caso, esattamente quel che serviva.

 

Barolo Bussia 2016
La diversità zonale è limpidamente espressa in quest’altro rampollo della famiglia, e in qualche modo lievemente amplificata dal diverso uso dei legni (qui interviene, pur in misura decisamente limitata, anche una quota allevata in tonneaux). Bello da vedere, intrigante da annusare, spinge di più sul fronte dei piccoli frutti scuri, temperati da un refolo di ciliegia e spezia. In bilico tra una bevibilità d’approccio tentatrice e stop intermittenti che tannini “educati” ma un filo nervosi (il tonneau è probabilmente loro dedicato) inducono qua e là nel sorso. Iper gastronomico. E gran buono.

 

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