Quelli dell’“Isola del Tesoro” di Stevenson – e relativo inno dei pirati – erano 15 uomini, e il loro gadget una bottiglia di rum. Quelli arrivati a Milano a presentare un progetto (meditato e comune, e non corsaro) erano anche loro 15, ma donne e uomini, grandicelli e… ragazzi: e la loro bottiglia (una per soggetto, 15 in tutto dunque) conteneva rigorosamente vino bianco. Di varia età e stimmate produttive, ma con in un comune label e territorio. Quello dei Castelli di Jesi.
Che, per la prima volta come ensemble appunto, e non in ordine sparso, nella capitale della moda, del design e delle tendenze è venuto a comunicare due cose molto importanti. La prima, sostenuta addirittura da una riforma della denominazione, è una rimodulazione di priorità e identità, da centrare appunto da ora in poi sulla “appartenenza” territoriale e non sul vitigno, pur importante, che ne è risorsa (fondamentale, ma non esclusiva, visto che è condiviso con altri in altre zone). La seconda invece è ribadire senza sconti la capacità dei vini di punta targati Jesi di viaggiare nel tempo (lustri e decenni, non solo anni) senza paura, e con esiti e progressi di complessità e finezza davvero importanti.
Ecco dunque il commando jesino (volendo allargare la metafora, 15 come una squadra di rugby, pacchetto di mischia solido e affiatato, trequarti agili e pimpanti e un paio di rodati, abili mediani, il decano Ampelio Bucci e il presidente del Consorzio di Tutela marchigiano e titolare di Umani Ronchi Michele Bernetti) proporre anzitutto il nuovo schema regolamentare, finalizzato agli obiettivi di cui sopra, spiegandone ragioni e radici. Forte di 2100 ettari (per capir meglio che si tratta di una denominazione dai confini stretti basterà un paragone col Soave, che ne ha 7000) l’area Jesi firma mediamente 13 milioni di bottiglie all’anno.
In Doc (l’opzione dipende da rese e durata dell’affinamento in cantina) la stragrande maggioranza, inclusi oggi i 2,5 milioni di Superiore; in Docg le appena 200 mila di Riserva. Il primo passo pensato dunque è promuovere il Superiore in Docg, estendendone dunque il peso a quasi 3 milioni di bottiglie, con relativo balzo di impatto e visibilità. Secondo punto, rendere facoltativa, e non più obbligatoria, l’indicazione “Verdicchio” in etichetta. Enfatizzando dunque al massimo, appunto, l’essere Castelli (pensando anche a una futura zonazione “etichettabile”) e il fatto di esserne, se si è in Docg, la crema.
E che di crema, e di rango, si tratti davvero, le 15 aziende (in ordine di apparizione nel tasting: Tombolini, Sartarelli, Marotti Campi, Vignamato, Casalfarneto, Bucci, Santa Barbara, Mattioli, Tavignano, Montecappone, Pievalta, Garofoli, Coroncino, Umani Ronchi) hanno voluto provarlo presentando rigorosamente alla cieca e in ordine sparso di età (e proprio per questo intrigantissimo, sorprendente ed eloquente al tempo stesso) un florilegio di prodotti compresi tra il 2021 e il 2008, e degustati in un’ora e mezza di kermesse pilotata con verve, humour e competenza da Cristina Mercuri.
Tutt’e 15 i vini (e non è buonismo né retorica, ma pura verità) meriterebbero, per la prova data, ampia e articolata descrizione. Ma questo report diverrebbe fluviale, e per questo si limiterà alla citazione (in fondo) dei vini presenti con due-tre aggettivi di commento e alla sottolineatura della riprova della qualità profonda e autentica di annate celebrate come la 2008, la 2010 e la 2016, della verve spiazzante dei 2017, ’11 e ’13 e il controllo e la precisione degli ultimi nati, malgrado le complicazioni climatiche che sappiamo. Tanto che scegliere alla cieca tra le tre ipotetiche “fasce” di riferimento proposte, e battezzate “slancio” per vini da 2 a 5 anni di età, “ricchezza” da 6 a 12 e “grazia” per quelli di oltre 13, su numerosi campioni si è rivelato un (divertentissimo quanto stimolante) rebus.
Ma ecco l’elenco dei vini testati:
- Tombolini Castelfiora 2021 (Staffolo) giovane, diretto, appagante
- Sartarelli Milletta 2020 (Poggio San Marcello) generoso e impattante
- Mariotti campi Salmariano 2017 (Morro d’Alba) centrato, balsamico, convincente
- Vignamato Ambrosia 2016 (San Paolo) lineare, vivace, sorprendente
- Casalfarneto Crispi 2018 (Serra de’ Conti) identità “ammandorlata” in evidenza
- Villa Bucci Riserva Speciale 2008 (Montecarotto- Serra) elegante, nobile, sinfonico.
- Santa Barbara Tardivo ma non Tardo 2016 (Montecarotto) floreale, progressivo, espansivo
- La Staffa Selva di Sotto 2015 (Staffolo) resiliente, tenace, sorprendente
- Poderi Mattioli Lauro 2018 (Serra de Conti) caldo, ampio, balsamico
- Tavignano Misco 2013 (Cingoli) seducente, spiazzante, armonico
- Montecappone Utopia 2011 lineare, incisivo, integro (il potere delle sabbie)
- Pievalta San Paolo 2016 (San Paolo) fine, lineare, slanciato
- Garofoli Selezione Gioacchino Garofoli 2010 (Montecarotto) goloso, “esotico” (incenso, tabacco), armonioso
- Coroncino Stracacio 2017 ((Cupramontana) ricco, fruttato, finale “piccante”
- Umani Ronchi Plenio 2008 (Cupramontana), solido, sano, centrato: in breve… bello
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