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Intervista con Daniele Celli, bartender del Principe Bar dell’hotel Principe di Savoia

Il Principe Bar dell’Hotel Principe di Savoia di Milano si avvia a celebrare il centenario, che ricorrerà nel 2027, con una iniziativa unica: un autentico viaggio nel tempo, attraverso dieci signature drink che ripercorrono la storia dal 1920 al 1970, reinterpretando in chiave liquida gli eventi più significativi che hanno segnato la storia contemporanea.

La raffinata proposta è firmata dal talentuoso Bar Manager Daniele Celli. Classe 1990, di origini abruzzesi, la sua filosofia si basa sulla trasformazione creativa delle materie prime attraverso tecniche avanzate come infusione, fermentazione e distillazione, bilanciando sapientemente gli ingredienti.

Al Principe Bar, Celli unisce questa profonda conoscenza tecnica alla capacità di narrare la storia attraverso i suoi cocktail. Conosciamolo meglio.

Come si è sviluppata la tua traiettoria da quando hai iniziato dietro al bancone fino a diventare un bartender in un contesto così esclusivo? Qual è il ricordo o il momento che ha forgiato maggiormente il tuo approccio al mestiere?

Come spesso accade, ho iniziato questo lavoro un po’ per caso, spinto da esigenze lavorative in una fase della mia vita in cui ho viaggiato molto in giro per il mondo. Da quel momento è scattata una scintilla: ho capito che questo mestiere poteva diventare la mia strada. Negli anni ho seguito numerosi corsi di formazione, ho studiato testi storici, ho sperimentato tanto, ma la crescita più importante è arrivata durante i sei anni trascorsi al 1930 Cocktail Bar. È lì che ho sviluppato diverse qualità professionali, come l’attenzione ai dettagli, la cura del servizio e, soprattutto, l’importanza del benessere dell’ospite.

Lavorare in un bar di lusso richiede una particolare attenzione ai dettagli e al servizio. In che modo questo ambiente influenza la tua tecnica e la tua interazione con la clientela?

In un contesto come questo, ci si aspetta che tutto sia perfetto. La priorità assoluta è la soddisfazione dell’ospite: anticiparne le esigenze, farlo sentire accolto e coccolato in ogni momento, dando massima attenzione anche al modo con cui ci si rivolge al cliente. Questi due anni al Principe Bar mi hanno insegnato molto proprio su questo aspetto.

La signature drinklist per la celebrazione del Centenario del Principe Bar passa per un “viaggio nel tempo” attraverso importanti momenti della storia. Quando crei un nuovo signature cocktail, da dove trai l’ispirazione? Si tratta di un ingrediente, di un’emozione, di un ricordo?

Quello che troviamo nel bicchiere è solo il punto d’arrivo. Tutto inizia da un macro argomento che poi si suddivide in fasi. Nel caso del centenario dell’Hotel, abbiamo lavorato su fasce temporali, ricercando e approfondendo avvenimenti storici e culturali per tirar fuori connessioni con luoghi, persone, usanze e tradizioni. Da qui nasce la narrazione del drink, la sua ricetta e infine il bilanciamento degli ingredienti selezionati.

C’è un cocktail che consideri la tua “firma” più riuscita e perché? Qual è la storia che c’è dietro?

Non c’è un cocktail in particolare a cui mi senta legato. Ogni drink creato durante il mio percorso è nato da un’emozione vissuta in quel momento o in quel luogo preciso, difficile sceglierne uno. Detto questo, i grandi classici mi emozionano sempre.

Nonostante le mode, c’è un distillato “classico” o “del cuore” che non toglieresti mai dalla tua postazione? Perché quel distillato ha un significato speciale per la tua filosofia?

Sicuramente il whisky, perché è storia, cultura, passione. È una sfida continua e uno dei primi distillati mai realizzati, alla base di moltissimi drink storici.

L’arte della mixology sta vivendo una stagione d’oro. Per alcuni una vera e propria forma di “cucina liquida”. Dal tuo punto di vista, cosa significa proporre un drink oggi in termini di esperienza completa per il cliente? Non è solo gusto, vero?

Assolutamente no. Dipende molto dal contesto, ma sicuramente far vivere un’esperienza che coinvolga tutti i sensi, con sapori, consistenze e colori, deve prevalere sulla creazione del drink stesso. Renderlo memorabile e indimenticabile sta poi a noi.

Scorgi nuove tendenze emergenti nel mondo dei distillati o nella miscelazione che ritieni possano dominare la scena nei prossimi anni? C’è un ingrediente o una tecnica su cui scommetteresti?

Oggi, fortunatamente, abbiamo la possibilità di vedere in tempo reale ciò che accade nei bar di tutto il mondo. Le informazioni e la tecnologia girano velocemente, e capita spesso di trovare due drink molto simili in locali agli opposti del globo. Non perché qualcuno copi l’altro, ma perché, con le conoscenze e gli strumenti disponibili oggi, è facile arrivare alle stesse conclusioni. Le tecniche ormai sono conosciute e diffuse ovunque, quindi secondo me le tendenze dipendono molto dalle mode che i “big” dell’industry mettono in circolazione.

Lo stesso vale per i distillati: si fa di tutto per cercare sempre qualcosa di nuovo, rompendo schemi e regole che hanno reso famosi nel mondo i diversi produttori.

Qual è il pubblico a cui si rivolge la mixology di alta qualità oggi?

A chiunque abbia curiosità e un minimo di passione nel voler scoprire cosa si nasconde dietro a un drink o a un distillato.

Se potessi bere un drink con una figura storica o un personaggio di fantasia, chi sceglieresti e, soprattutto, quale cocktail prepareresti per quella persona?

Berrei molto volentieri un Old Fashioned con Jerry Thomas, uno dei primissimi barman della storia e inventore di molti drink leggendari, vissuto nella metà dell’Ottocento.

Dopo una lunga settimana di lavoro a creare capolavori, qual è il tuo “guilty pleasure” in fatto di bevute: il drink che ti concedi quando sei tu a stare dall’altra parte del bancone?

Nel corso degli anni ho bevuto spesso cocktail a base di whisky, come Old Fashioned, Manhattan, Sazerac… Oggi, più che un drink, preferisco bere un buon whisky o un rum liscio per degustarlo al meglio e concedermi un momento di relax.

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Scritto da

Michelangelo Fani, da oltre 15 anni appassionato di vino, distillati e gastronomia. Nel 2010 scrive occasionalmente su Dissapore. Nel 2012 collabora alla guida Bibenda 2013. Negli anni successivi partecipa ai panel per le Guide “ai sapori e ai piaceri regionali” di Repubblica (Lazio, Abruzzo, Marche Umbria, Puglia, Sardegna) e collabora con l’associazione Ateneo dei Sapori. Dal 2019 scrive sulla guida ViniBuoni d’Italia, edita dal Touring Club. Degwineandspirits.com è il suo taccuino di viaggio nel mondo del vino e dei distillati. Perché in fin dei conti, “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla” (Danny Boodman T.D. Lemon Novecento – Novecento, A. Baricco).

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