Chi Vi scrive ha volutamente rinunciato a tenere una lezione pomeridiana ad un corso di degustazione, per aderire al gentile invito della cantina cooperativa alto-atesina Erste+Neue ad un aperitivo informale (ma non a corto di stuzzichini assortiti) nella scenografica location del ristorante Golden View a Firenze (proprio sull’Arno, vista su Ponte Vecchio e gli Uffizi). Occasione la presentazione delle nuove annate dei vini della linea Puntay, ovvero le selezioni aziendali vinificate in legno. Ho rinunciato al lavoro per cedere al piacere? Può essere, diciamo che almeno posso sempre classificarlo come aggiornamento professionale…
Ad ogni buon conto ne è valsa la pena, per il livello generale degli assaggi ed il contatto con l’impostazione stilistica della linea. Puntay classicamente conta sul legno per incrementare la complessità aromatica, abdicando forse (ma nemmeno troppo) ad un po’ di frutto per evidenziare, nelle rispettive espressioni dei vitigni, una mineralità territoriale. Pur tuttavia, alla degustazione il nuovo stile di molte etichette alto-atesine rifulge in un apporto del rovere molto più misurato rispetto al passato anche recente, che “ingrassa” l’impatto gustativo e non ne ottunde, anzi ne esalta il corredo aromatico.
Con il primo calice si è pagato dazio alla moda degli spumanti ancestrali, con un esperimento interessante dall’acidità gradevolmente sopra le righe, parliamo del Peak Nat 2022 (100% Pinot Bianco) che ben si presta a una sbicchierata in un wine bar o a un’abbinamento con pietanze non di solo pesce e comunque solo relativamente leggere, causa una presa al palato quasi leggermente tannica. Lodevole la pulizia, visto che in questo caso si effettua pure la sboccatura.
È seguito come primo bianco fermo il Pinot Bianco Alto Adige DOC 2022 che ha un po’ rubato la scena a tutti i varietali: senza smarrire freschezza, fragranza, e facilità di beva patrimonio del vitigno, vi aggiungeva anche toni più maturi (frutta gialla) e una polpa magnificamente bilanciata, anche grazie a una sapidità che ne distendeva il gusto.
Lo Chardonnay Alto Adige DOC 2022 successivo, pur gradevole, non mi ha altrettanto intrigato: pulito, preciso, difettava però della profondità e dell’originalità del Pinot Bianco. Come dire che lo Chardonnay ha qui confermato la sua natura di vitigno quanto mai plastico, capace di adattarsi a qualsivoglia contesto pedoclimatico, qui espresso come sostanziale equilibrio, e aromaticamente da una maturità fruttata poco sfumata, e non molto originale.
Il Sauvignon Alto Adige DOC 2022 che gli è seguito esibiva all’olfatto una canonica cornucopia varietale, di somma piacevolezza, tra tutti i toni vegetali che ci si potevano attendere (basilico, foglia di pomodoro, ecc.) e i rimandi agrumati che la varietà esprime quando è ben matura. Peccato che il sorso fosse molto più semplice, ben impattante in tutta l’estensione della bocca all’ingresso, ma subito dopo un po’ troppo sfuggente.
Il palato si liberava così per un’altra bellissima mezza sorpresa. Chi vi scrive non è un grande fan del Gewürztraminer, senza che ciò mi impedisca di apprezzare, e molto, quelli ben fatti. Il vitigno è prono a smarrire al palato la rutilante estroversione che sciorina all’olfatto: troppe volte a un arcobaleno di sentori esotici fanno seguito sensazioni gusto-olfattive monocordi, tanto più con il fin di bocca appiattito su toni amaricanti, e l’alcool che tende a prevaricare. Niente di tutto ciò con il Gewürztraminer Alto Adige DOC 2022. Accattivante corrispondenza naso-bocca, profilo slanciato da un’inattesa e per questo tanto più gradita acidità, e spina dorsale sapida a sostenere, ed allungare, il tutto. Davvero una bella riuscita.
Sulla medesima falsariga un Moscato Giallo che ha brillantemente evitato la potenziale stucchevolezza che lo minaccia a prescindere, risultando adeguatamente sfumato a livello aromatico, ma che difettava dell’apollinea facilità di beva dell’assaggio precedente, nonché della sua persistenza.
E dopo un panorama bianchista di solida piacevolezza e coerenza stilistica, con due punte a mio parere di assoluto valore, tra uno stuzzichino e l’altro (mi sono comportato bene, la mia dietologa sarebbe stata contenta), sempre in reverente contemplazione della bellezza di Firenze passavo agli assaggi di vini rossi. A partire da un Kalterersee Classico Superiore Alto Adige DOC 2022, che il gentilissimo incaricato del ristorante che temporaneamente la serviva chiamava scherzosamente Caldarese… Era una Schiava succosa, forse meno articolata della media delle sue consorelle, ma con un frutto rosso immacolato cui facevano da pendant un richiamo di rosa (Moscato Rosa non ce n’era, questa ne ha quasi fatto le veci), e un che di cioccolatoso. Magari dal vitigno ci si attende un po’ di levità in più, ma assolutamente trattavasi di una bottiglia che chiunque finirebbe con disinvoltura.
Seguiva un Lagrein Riserva Alto Adige DOC 2021 ancora più varietale, purpureo, che esibiva mirtillo, mora di gelso e il canonico carattere affumicato, oltre a un tannino piacevolmente ruspante ma non strappato, emendato anche qui da una freschezza a tutta prova, che ne faceva presagire un futuro più elegante e anche più disteso al palato.
E last but not least la degustazione non poteva non terminare con un Pinot Nero Riserva Alto Adige DOC 2022. Il rapporto odio-amore che ho con la varietà non mi ha impedito di prendere atto dell’evoluzione cui essa sottostà in Alto Adige. Con le zone storicamente più vocate penalizzate dal cambiamento climatico, che qui come altrove può indurre maturazioni forzate: che per un vitigno così ipertroficamente sensibile alle variazioni di terroir vogliono dire un apparato aromatico meno sfumato, nonché uno sbilanciamento verso un corpo più pieno provenendo dall’attesa finezza. E così le vigne si stanno lentamente ma inesorabilmente spostando verso quote più alte, tendenza peraltro condivisa da altre tipologie varietali, autoctone e non.
Nel Pinot Nero Puntay questa vocazione veniva gestita con sapienza: senza rinunciare alla maturità, non andavano smarrite le nuances floreali, terrose e quant’altro il vitigno profonde a piene mani. Bene l’equilibrio: un alcool non invadente sostiene il confronto con una struttura tannica di estrazione non timida, modulata da un sapiente uso del legno. Il vino si mostra rassicurante, con una ciliegia matura intonsa di facile approccio, adeguatamente screziata quel tanto che basta da non risultare noiosa. La polposità del palato è accattivante, e il difetto di freschezza è solo apparente: per quanto felicemente “annegata” in queste morbidezze, l’acidità esiste e resiste, altrimenti il sorso non si distinguerebbe per cotanta facilità. La gioventù adesso inibisce ulteriori voli pindarici aromatici, che magari diventeranno la cifra stilistica dominante: solo il tempo potrà dirlo.
Assaggiando, mangiucchiando e (ri)degustando, nel frattempo la luce sul’altra riva dell’Arno aveva acquisito una tonalità più autunnale. Un sentimento sinestesico con l’impressione di vini che rimandano a spensierati trattenimenti estivi, ma anche a raffinate serate presso il caminetto.
Stavolta mi sono abbandonato alla valutazione puntuale e un po’ speciosa dei singoli vini. Ma lo scopo di una degustazione, ne sono convinto, dovrebbe essere la ricerca e l’individuazione di un principio unificante, di un richiamo identitario, di un montaliano “filo che si addipana” ad avviluppare etichette diverse in una koiné condivisa e quasi familiare. Per Puntay, mi pare di poter dire che si tratta della ricerca di una piacevolezza non scontata, intessuta di polpa e maturità di frutto (ma non solo), di una fine opulenza, superando in una sintesi virtuosa questo apparente ossimoro. Attinge a questo risultato sfruttando con sapienza gli strumenti offerti dalla moderna enologia, senza farsene sopraffare.
E considerando che una simile accuratezza in vigna e in cantina la si reperisce sullo scaffale a prezzi ancora accessibili (mutatis mutandis, dalle parti di 25 € per bottiglia), posso concludere che il mio incontro fiorentino ha ben giustificato la rinuncia al guadagno di una lezione da tenere. D’altra parte, mica si può trascurare l’aggiornamento professionale…
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